I soldi della Chiesa

maxresdefaultdi Leonardo Salutati • I soldi della Chiesa edito dalle Paoline è un libro di Mimmo Muolo, vaticanista e vicecapo della redazione romana del quotidiano Avvenire, presentato a Roma a fine maggio scorso che intende fare chiarezza sul mito, alimentato da una insufficiente informazione, di favolose ricchezze possedute dalla Chiesa. Molti infatti parlano della Chiesa senza conoscerne la struttura, il diritto, le articolazioni, la storia, le molteplici attività. A volte c’è la precisa volontà di colpirla, evidenziandone le incoerenze attribuibili alla responsabilità di suoi singoli membri che, indubbiamente, hanno dato scandalo. Muolo non nega che tali incoerenze vi siano state, che con tutta probabilità ci saranno ancora, ma cerca di documentare anche e soprattutto il bene spesso taciuto, che viene compiuto usando i soldi e le risorse a disposizione. Al riguardo fa indubbiamente chiarezza la presentazione del profilo dello IOR, con la sua storia, le vicende che lo hanno portato alla ribalta della cronaca e i recenti interventi che lo hanno adeguato agli standard di trasparenza internazionali, consentendogli di entrare nel circuito bancario europeo Sepa (Single Euro Payments Area) nel marzo 2019.

L’autore si domanda se, quando si favoleggia di un patrimonio immobiliare da capogiro, vi siano comprese anche le chiese parrocchiali, la Basilica di San Pietro, i musei, le biblioteche, i conventi e altri monumenti, oppure si parli solo di case e terreni. La distinzione non è di poco perché i primi non sono beni produttivi di rendite, inoltre consumano risorse per la loro manutenzione ordinaria e straordinaria (si veda Notre Dame a Parigi) mentre, se tra i secondi vi sono anche i locali adibiti a centro di ascolto o a mensa Caritas per i poveri, è difficile parlare di rendita. Certamente vi sono anche rendite immobiliari frutto di donazioni e legati di fedeli lungo i secoli, che sono amministrate da chi ne è proprietario (l’ente diocesi, l’ente parrocchia o altri enti ecclesiastici) e i cui proventi però, al netto dei costi di manutenzione e unitamente a tutti i beni materiali a disposizione, sono destinati ai fini istituzionali della Chiesa: l’annuncio del Vangelo, l’esercizio del culto e della carità. Muolo ricorda in più occasioni che bisogna considerare attentamente non solo le “entrate” ma anche le “uscite” e soprattutto le finalità per cui le ricchezze, vere o presunte, vengono impiegate. Nel qual caso potremmo constatare che i bilanci sono spesso in “rosso”!0

Di grande utilità l’illustrazione del meccanismo di destinazione dell’8xmille del gettito fiscale in base alle preferenze dei contribuenti, di cui beneficia in Italia anche la Chiesa Cattolica, che va a sostegno della sua attività istituzionale. Da quando è entrato in vigore nel 1990 ha sempre fatto registrare percentuali plebiscitarie a favore della Chiesa Italiana, espressione tra l’altro della fiducia, confermata dai rendiconti annuali di impiego delle risorse ricevute, che essa gode e continua a godere tra credenti e non. Al riguardo l’autore ripropone anche un’interessante analisi del giornalista G. Rusconi del 2013, che ha calcolato nella proporzione di 1 a 11 quanto la Chiesa restituisce dell’8xmille a beneficio dell’Italia, in termini di attività socialmente utili e necessarie, che spaziano dall’educazione alla carità.

Il libro affronta anche la questione dell’Imu. Un tema che è tornato alla ribalta dopo che, nel novembre 2018, una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che la Commissione europea sbagliò a suo tempo a non chiedere all’Italia il recupero dell’Ici non versata da enti non profit, inclusi gli enti ecclesiastici. Al riguardo, annota Muolo, «emerge sempre più il dubbio da un lato che si sia trattato di una sentenza “fine a se stessa”, poiché tra calcoli da fare, impossibilità di ricostruire dati del passato, prescrizioni finali, valutazioni politiche e così via, nessuno sa dire con certezza in quale modo possa essere applicata, dall’altro che quel pronunciamento sia servito solo a rinfocolare vecchie polemiche, mistificando la reale identità dei soggetti coinvolti (non solo la Chiesa) e arrecando di fatto un danno a chi con tanta buona volontà porta avanti attività di grande valore sociale».

Chiarificatrice anche la riflessione sulla povertà della Chiesa e su come intendere lo slogan: «una Chiesa povera per i poveri». La povertà evangelica, infatti, non è caratterizzata dall’assenza di beni ma dal grado di distacco del cuore da questi. Un Chiesa povera è una Chiesa non attaccata a privilegi e mondanità, bensì materna e accogliente, attenta alle necessità degli uomini e delle donne di ogni tempo, che prima di tutto evangelizza e realizza opere, espressione e segno della propria fede nell’Unico Signore Gesù. «Uso e distacco contemporaneamente» dunque, per conseguire i propri fini istituzionali di «ordinare il culto divino, provvedere ad un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di apostolato sacro e di carità, specialmente a servizio dei poveri» (can. 1254 §2 CJC).