L’armonia musicale nella Divina Commedia

di Alessandro Clemenzia · «Tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella». Queste parole di Dante Alighieri, tratte dal suo Convivio, esprimono al meglio il percorso sviluppato da Giuseppe Liberto, musicista e compositore, nel suo ultimo libro intitolato Dante Alighieri. Poesia e canto, musica e danza (Edizioni Feeria 2022). Viene presentato in queste pagine il fascino dell’intimo rapporto tra parola e musica, sempre presente nel gran poeta quando, a metà della sua vita, ha attraversato l’Inferno, il Purgatorio e il Paradiso.

Armonia e relazione: questo è il filo conduttore di questo testo, dove la vera musicalità è offerta dalla qualità e dall’intensità della distinzione relazionale; e Dio abita realmente quel “tra” interpersonale. L’armonia è distinzione, come ricorda Boezio: «Consonantia est dissimilium inter se vocum in unum redacta concordia» (Inst. Mus. I, 28). Eppure non basta parlare di “distinzione”, in quanto ciò che rende armonica ogni realtà è il convenire in unum delle singole parti, e dunque l’unità, non soltanto come risultato finale di un’operazione, ma soprattutto come continua e oscillante tensione tra gli opposti. Scrive Liberto nel Preludio: «La concordia discors è un’unità nel molteplice e relazione concordante degli opposti. Il termine greco tonos letteralmente significa “tensione”» (p. 14). Quest’ultima è il motore interno alla relazionale, è la dinamica stessa che, nel suo permanere, afferma contemporaneamente la distinzione tra i poli e l’unità tra loro, come Romano Guardini ha sistematizzato nella sua opera filosofica Opposizione polare (1925), in risposta ad alcune tendenze idealistiche, e in particolare a un certo hegelismo.

Il percorso di Dante inizia dall’Inferno, dove «non c’è silenzio, non c’è musica, non ci sono canti; c’è soltanto mutismo terrorizzante spezzato da frastuoni, da assassinanti tormenti, da sospiri in pianto e da alti guai» (p. 19). Si tratta della realtà dell’inferno, un’assenza senza fine di relazioni, dove l’espressione della propria interiorità avviene attraverso il linguaggio delle urla, che non raggiungono nemmeno la dignità del grido. L’autore spiega come l’urlo, al contrario del grido che esprime stupore e implorazione (come recita il Salmo penitenziale 130: “Dal profondo a te grido, Signore; Signore, ascolta la mia voce”), è uno strillo di disperazione, un’esplosione di rabbia incontenibile, un gesto rabbioso. Tutto è lugubre: a coloro che hanno usato male la propria libertà manca proprio quest’ultima, e dove non c’è libertà, non c’è neanche amore.

Altra situazione Dante incontra in Purgatorio; scrive lo stesso Dante:

Ahi quanto son diverse quelle foci

da l’infernali! ché quivi per canti

s’entra, e là giù per lamenti feroci (XII, 112-114).

Qui la musicalità è preghiera di pentimento, da parte di quelle anime che hanno come unica infelicità quella di aver peccato, e per questo domandano a Dio, cantando salmi, litanie e antifone mariane, di cancellare ogni colpa, poiché «l’unica felicità del peccatore è la grazia di ricevere il perdono misericordioso divino» (p. 36). Qui si canta, a volte a cori alterni, altre volte in alternatim tra coro e solista, altre volte ancora all’unisono. Tutto è melodioso in Purgatorio, anche la natura.

Finalmente Dante arriva in Paradiso. Qui avviene qualcosa di ancora più travolgente: «musiche, canti e luci in splendore, dall’inizio alla fine sono rivelazioni della Verità d’Amore» (p. 66); vi è una perfetta convergenza tra loro, tanto che il rapporto tra parola e canto è descritto attraverso «il concorde contrappunto» (p. 66). Cosa si intende con esso? In un discorso musicale la musica può essere costruita, sia in modo verticale (dall’alto verso il basso) con un insieme di note particolari (consonanti e dissonanti), sia in modo orizzontale: qui entra in gioco il contrappunto, e cioè un dialogo tra più voci; quando esse arrivano a toccarsi, formano un accordo dinamico, che non si ferma staticamente su un solo punto di contatto, ma prosegue nel tempo. Nel contrappunto, ogni singolo elemento rimane se stesso (e dunque distinto dagli altri) in un’armonia con la totalità.

La melodia, nel Paradiso, non è un semplice insieme di voci, ma è un movimento ritmico di parola, suoni e canti tale da risvegliare, in colui che ne fa esperienza, un forte desiderio del cuore:

«La novità del suono e ’l grande lume

di lor cagion m’accesero un disio

mai non sentito di cotanto acume» (I, 82-84).

Tale dolcezza sonora canta il mistero di Dio Trinità. La densità percepita dal gran poeta della presenza di Dio lo rende sempre più partecipe della realtà in cui è immerso.

La Divina Commedia, spiega e conclude Giuseppe Liberto, è una sublime polifonia sinfonica, non soltanto per le argomentazioni trattate, ma anche per ogni singola parola che la compone, in cui è presente la massima intensità espressiva: «Dante, con il canto che c’è dentro la parola, crea, nell’incanto della forma poetica, le tre cantiche che sono guida e luce in splendore per vivere la fede sostanziata di speranza in attesa dell’avvento del Regno celeste» (p. 99). Recuperando quanto ha affermato Dante nel suo Convivio, «tanto più dolce armonia resulta, quanto più la relazione è bella», si può affermare che man mano che la creatura vive consapevolmente la presenza di Dio, le relazioni vengono intessute di una qualità tale, che tutto risulta una dolce armonia. Ogni uomo e donna, proprio attraverso la propria umanità, è predestinato unicamente al Paradiso.