Il lavoro, i denari di Giuda e quelli del buon samaritano

di Antonio Lovascio · E’ fitta l’agenda dei problemi del nostro Paese che il nuovo governo di Centrodestra dovrà affrontare in sintonia con l’Europa. Le sfide sono evidenti: le povertà in aumento costante e preoccupante per gli effetti del Covid e della guerra russa all’Ucraina che sta mettendo in ginocchio pure l’Occidente; l’inverno demografico, la protezione degli anziani, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro soprattutto per i giovani, l’accoglienza, la tutela, la promozione e l’integrazione dei migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, senza dimenticare le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale. Le ha richiamate il presidente della CEI card. Matteo Zuppi a commento del voto, che insieme alla vittoria di Giorgia Meloni ha decretato il record dell’astensionismo , non lontano dal 40 per cento degli italiani aventi diritto. Per la prima volta i diciottenni sono stati chiamati alle urne anche per il Senato, ma una pessima, assordante campagna elettorale non ha affatto rivolto l’attenzione alle nuove generazioni. Sono i “protagonisti del futuro” , ma le loro attese e preoccupazioni non sono state colte dai programmi dei partiti. Soprattutto per quanto riguarda il tema del lavoro. Se n’era fatto portavoce Papa Francesco , ricevendo il 12 settembre in udienza gli oltre 4 mila partecipanti all’assemblea di Confindustria. Un discorso ampio e articolate, in cui i brani del Vangelo si sono intrecciati con gli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa. I trenta denari di Giuda e i due denari del buon samaritano, cioè il denaro usato per tradire o per salvare. Gli imprenditori “mercenari” e quelli simili al “buon pastore” che nobilitano il loro impegno e non vivono di rendita da parassiti; il patto fiscale come cuore del patto sociale e le tasse (“giuste ed eque”) come forma di condivisione dei beni spesso non capita, il gap degli stipendi troppo largo tra top manager e impiegati. E, centrale in questo appello per la promozione di una società più giusta e inclusiva, la creazione di posti di lavoro, in particolare per i giovani che trasmettono energia ed entusiasmo(“ Ogni nuovo posto di lavoro creato è una fetta di ricchezza condivisa”).

Poi il Papa ha allargato lo sguardo alla demografia: “La denatalità, combinata con il rapido invecchiamento della popolazione, sta aggravando la situazione per gli imprenditori, ma anche per l’economia in generale: diminuisce l’offerta dei lavoratori e aumenta la spesa pensionistica a carico della finanza pubblica”. Ancora Bergoglio: il ruolo delle aziende per l’integrazione degli immigrati, lo sfruttamento e la negligenza nella sicurezza, le donne licenziate a causa di una gravidanza. L’esempio di Alberto Balocco e Adriano Olivetti, due industriali illuminati di epoche diverse, purtroppo scomparsi , sicuramente da imitare perché avevano ben compreso che se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società. Infine, il monito finale del Papa: “Senza nuovi imprenditori la terra non reggerà l’impatto del capitalismo, e lasceremo alle prossime generazioni un pianeta troppo ferito, forse invivibile”.

Ma guardando proprio ai giovani, c’è un dato su cui riflettere. Negli ultimi due anni la popolazione scolastica è diminuita di 300 mila unità: come se fosse sparita un’intera città, tipo Catania o Bari. Un dramma nazionale. Al pari dello scandalo di avere il maggior numero di giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano e non studiano. Primi in Europa in questa umiliante classifica, mentre siamo agli ultimi posti per percentuale di laureati.

Siamo insomma un Paese sempre più anziano che tende a ripiegarsi su se stesso, coltiva la paura di perdere il benessere, non la voglia o meglio la fame (come nel Dopoguerra) di accrescerlo, anche con lo studio. Guai poi a diffondere un clima di pessimismo o rassegnazione, quando già 69 per cento dei giovani tra i 18 e i 35 anni, secondo una ricerca Ipsos, vive ancora nella famiglia d’origine. E 90 mila se ne sono andati all’estero.

Se poi in Italia abbiamo tassi d’imprenditorialità giovanile tra i più bassi in assoluto ( in dieci anni abbiamo perso un quinto delle imprese guidate da giovani sotto i 35 anni, soprattutto nelle Marche, in Abruzzo e Toscana) , possiamo però vantare l’evoluzione delle tipologie di lavoro legate alla digitalizzazione, alla robotica, all’intelligenza artificiale. Ed essere al contempo orgogliosi della straordinaria reazione di queste imprese – che stanno su un mercato aperto, concorrenziale – alla pandemia e alla crisi energetica. La crescita la fanno soprattutto loro. Si sono reinventate, hanno innovato, ci hanno provato, magari senza aspettare alcun sussidio.

Il governo Draghi lascia quindi sul campo qualche nota positiva, oltre ai conti pubblici in ordine ed un buon feeling con l’Europa. Tracce che non vanno ricoperte dall’oblio , visto che la cose da fare per superare le emergenze e far ripartire il Paese sono tante e complesse. Ecco perché la Meloni ed i suoi alleati sono attesi ad una prova di serietà e responsabilità . Al servizio di tutti, a cominciare dai più deboli e meno garantiti.