Thomas Merton, una spiritualità inquieta

T.-Merton-foto-2di Carlo Parenti • L’eredità culturale e spirituale di Thomas Merton (1915-1968), a mezzo secolo dalla scomparsa, non tende a spegnersi, persistendo una miriade di studi intorno alla sua imponente opera che spazia in ambiti diversificati come la mistica cristiana, la vita contemplativa, il rinnovamento monastico, l’azione sociale, le varie religioni nel mondo e la condizione intima dell’uomo indagata anche attraverso un’ampia produzione poetica. Affrontare la sua figura significa seguire gli stessi percorsi apparentemente indipendenti della sua scrittura, che trovano l’elemento unificante nella volontà di mettere in luce le esigenze latenti di un’umanità confusa, esiliata dalle verità più profonde. Attraverso il pellegrinaggio geografico e spirituale di Merton si coglie l’archetipo dell’uomo in una continua ricerca, che fa esperienza di Dio nella vita contemplativa per porsi poi in quello stato di irrilevanza, di marginalità che facilita la genuina apertura verso altri mondi, altre culture, verso una moltitudine di persone che possono far confluire le differenze in un’antica, originaria unità.

Questi temi sono affrontati in un volume di Maurizio Renzini –Thomas Merton, una spiritualità inquieta, Nerbini, 2017- che traccia l’evoluzione e il dispiegarsi della vita di Merton in una serie di fasi ove la mistica si coniuga con i problemi del mondo e con quelli dell’esistenza umana. Renzini, decano dell’ Istituto Industriale di Foligno di cui è stato preside, è presidente del Laboratorio di Scienze Sperimentali di Foligno. Rimase affascinato dai libri di Thomas Merton in giovanissima età. Risvegliò il suo interesse per questo scrittore trappista nel 2000 divenendone uno studioso e impegnandosi nella diffusione della sua opera. E’ stato un promotore ed è il presidente dell’Associazione italiana Thomas Merton che è riconosciuta ufficialmente da quella internazionale con sede negli USA. Partecipa anche alle iniziative della Fondazione La Pira dove l’ho conosciuto ed apprezzato.

A questo proposito giova dire che La Pira incontrò Merton al monastero americano del Gethsemani in Kentucky (una comunità monastica appartenente all’Ordine dei Cistercensi della Stretta Osservanza, c.d. Trappisti) nell’ottobre 1964. Ciò in occasione di un suo viaggio negli Usa – accompagnato da Fioretta Mazzei, Mario Primicerio e Vittorio Citterich – per il gemellaggio tra Filadelfia e Firenze. Merton nell’indicare – tra gli italiani che maggiormente l’avevano influenzato o colpito – Dante, i grandi santi e vari scrittori come Montale, Quasimodo e Pavese, alla fine diceva: «I add that I am glad to be friend of La Pira» («Aggiungo che sono felice di essere amico di La Pira»).

Papa Francesco, il 25 settembre del 2015, in occasione della visita all’Assemblea plenaria del Congresso degli Stati Uniti d’America -durante il suo viaggio apostolico-, indicò Merton come dei quattro americani a cui guardare perché «… resta una fonte di ispirazione spirituale e una guida per molte persone». E aggiunse: «Merton era anzitutto uomo di preghiera, un pensatore che ha sfidato le certezze di questo tempo e ha aperto nuovi orizzonti per le anime e per la Chiesa. Egli fu anche uomo di dialogo, un promotore di pace tra popoli e religioni».

Come ha osservato Mario Zaninelli – presbitero della diocesi di Milano, specializzato in spiritualità e vita cristiana presso la facoltà dell’Italia Meridionale di Napoli e coordinatore scientifico dell’associazione Thomas Merton – si può dire che il volume di Renzini apra la riflessione proprio nella direzione voluta e annunciata da papa Francesco. Non solo. Quello che si potrà apprezzare, leggendo il volume , va ricondotto a quel desiderio del santo padre che, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, così enunciava: «Il modo di relazionarci agli altri che realmente ci risana, invece di farci ammalare, è una fraternità mistica, contemplativa, che sa guardare alla grandezza sacra del prossimo, che sa scoprire Dio in ogni uomo, che sa sopportare le molestie del vivere aggrappandosi all’amore di Dio» (EG 92). Pensieri, questi, che fanno riecheggiare nei nostri cuori quella mistica di Merton, impastata con la quotidianità del vivere, presente anche in santa Teresa di Lisieux, che il monaco trappista ben conosceva e stimava.

Infine qualche breve nota sulla vita di Merton. Egli si imbatté in un inaspettato spunto di conversione al cattolicesimo durante una visita in Italia, particolarmente al Monastero “delle tre fontane” nel cuore di Roma, accanto al luogo dove l’apostolo S. Paolo fu martirizzato nell’anno 67.

La sua opera autobiografica: “La montagna dalle sette balze” è stata pubblicata in milioni di copie e tradotta in ventotto lingue. Merton scrisse altri sessanta libri, centinaia di poesie, articoli, lettere, diari che spaziano dalla spiritualità monastica ai diritti civili alla non violenza all’ecumenismo, agli armamenti nucleari.

I ventisette anni che egli trascorse al Gethsemani, prima della sua morte improvvisa nel 1968, portarono naturalmente dei profondi cambiamenti nella sua persona. La sua vibrante conversione, l’incombente rischio della guerra nucleare e la sua tragica storia familiare (con il fratello caduto in combattimento durante la seconda guerra mondiale) lo costrinsero in qualche modo nell’arena politica ove divenne uno dei punti di riferimento del movimento per la pace degli anni sessanta. Fu anche strenuo sostenitore del movimento non violento per i diritti civili, che egli definì come “il più grande esempio di fede cristiana attiva nella storia sociale degli Stati Uniti” in piena era segregazionista.

A causa anche del suo costante impegno sociale, Merton dovette sopportare una severa critica da parte di cattolici e non, che attaccarono i suoi scritti ritenendoli di natura prettamente politica o comunque sconvenienti per un monaco. Nel corso degli ultimi anni della sua vita, anche spinto in tal senso dai ricorrenti eventi bellici nel Sud-Est asiatico, maturò un profondo interesse per le culture e le religioni di quelle aree, particolarmente per il Buddismo Zen, volendo promuovere il dialogo Est-Ovest in chiave pacifista. Il Dalai Lama elogiò pubblicamente Thomas Merton riguardo la sua ottima conoscenza del Buddismo, giudicata come la più completa e profonda rispetto ad ogni altro cristiano da lui precedentemente conosciuto. Fu durante un viaggio, per una conferenza sul dialogo monastico tra Est e Ovest, che Merton mori a Bangkok il 10 dicembre 1968, folgorato nella sua stanza da un ventilatore difettoso. Per una triste coincidenza tale data corrisponde al ventisettesimo anniversario del suo ingresso al Gethsemani.