Il valore sociale dei carismi

9788831175180di Alessandro Clemenzia Un discorso sui carismi viene facilmente compreso all’interno di un contesto teologico (in particolare, in riferimento allo Spirito Santo), o a particolari esperienze ecclesiali, quali, per esempio, gli Istituti di Vita Consacrata e i nuovi movimenti, o ad aspetti particolari e originali di una determinata personalità.

In effetti, ogni carisma è espressione, tanto di un movimento di Dio fuori di sé indirizzato all’uomo, quanto di una esperienza umana, singolare ed ecclesiale, generata da un particolare “tocco” di Dio. Un carisma, dunque, dice simultaneamente e Dio e l’uomo: l’uno e l’altro, anzi, l’uno in relazione all’altro, l’uno che si dice nel suo essere orientato verso l’altro.

Al di là di tale dinamismo teologico e antropologico, ogni carisma ha una sua vita interna, e dunque uno sviluppo che non si esaurisce in quel primordiale atto relazionale tra Dio e uomo, ma continua a generarsi dal di dentro della realtà, anche delle diverse strutture politiche ed economiche che governano e ordinano il pianeta, sia localmente che globalmente. I carismi, infatti, oltre a una pregnanza religiosa, tendono al “bene comune”, e questo carattere teleologico fa sì che essi non solo investano le diverse realtà già costituite, ma che siano in grado anche di dare vita a nuove organizzazioni, funzionalmente strutturate in vista della realizzazione di quell’ideale contenuto nel carisma stesso.

È uscito da poco un breve, ma significativo, contributo di Luigino Bruni, economista coordinatore del progetto dell’Economia di Comunione e uno dei promotori dell’Economia Civile, intitolato: La distruzione creatrice. Come affrontare le crisi nelle organizzazioni a movente ideale (Città Nuova, Roma 2015). L’attenzione dell’autore è rivolta in particolar modo sul cogliere in che modo un carisma, e ciò che è socialmente generato da esso – come le Organizzazioni a movente ideale (OMI) – possa conservarsi e svilupparsi nella sua fecondità intrinseca, facendo fronte a una duplice sfida: una, proveniente dal contesto storico in cui vive e si muove; l’altra, che nasce – paradossalmente – proprio da una voluta e organizzata fedeltà al fondatore.

Le OMI, prodotto ed espressione di un carisma, come ogni realtà umana che vive e si muove nella storia, sono soggette alla vulnerabilità: dal modo in cui ciascun ente decide di affrontare la propria precarietà, dipende la sopravvivenza non soltanto delle strutture, ma anche del carisma che le anima dal di dentro. Per far fronte a questa fragilità, il sistema capitalistico ricorre all’immunità, che consiste nel desiderio, e nel seguente atteggiamento relazionale, di non esporsi al rischio di essere contaminato dall’altro. Scrive Bruni: «L’immunità è oggi la nota principale delle grandi imprese capitalistiche. Ogni cultura invulnerabile è anche una cultura immunitaria […]. L’immunitas è la negazione della communitas: l’anima della communitas è il munus (dono e obbligo) reciproco, quella dell’immunitas è l’ingratitudine reciproca, l’assenza è l’opposto del dono (in-munus, immune)» (p. 31).

Vengono qui affermate due verità; la prima: anche i carismi, con tutte le strutture che da essi scaturiscono, sono soggetti alla vulnerabilità; la seconda: l’unico modo per un’OMI di affrontare la crisi e la precarietà è proprio quello di abitare la propria vulnerabilità come luogo per far vibrare quel carisma originario, e farlo ridondare lungo i secoli.

Legata alla sfida che nasce dall’esterno, ce n’è un’altra. Perché le OMI non soltanto sopravvivano attraverso una ripetizione dell’esperienza originaria del fondatore del carisma, ma continuino a svilupparsi, generando nel tempo frutti che esprimano il carisma originario, è richiesto sia di abitare attivamente la propria caducità, sia di far fronte alle sfide attraverso una nuova creatività e originalità, senza confondere «il nucleo immutabile dell’ispirazione originaria con la forma organizzativa e storica che esso ha assunto nelle fasi della fondazione» (p. 52). Infatti, «la saggezza di governo del fondatore e/o dei suoi primi collaboratori sta nel far sì che le persone creative possano svilupparsi nella loro diversità» (p. 55). Lo sviluppo progressivo di un carisma non causa la perdita della propria identità, ma porta a un fecondo ripensamento e a una sempre nuova incarnazione del dono carismatico originario nell’attualità. Questo significa, come ricorda la teo-logica dell’evento pasquale, che anche «le organizzazioni, come tutta la vita vera, possono vivere più stagioni se muoiono e risorgono molte volte. Ma per imparare a risorgere occorre prima imparare a morire» (p. 58).

Per far fronte a questa seconda sfida, coloro che gestiscono le realtà carismatiche sono chiamati a «creare, ritirandosi, spazi di libertà e di creatività che consentano l’emergere di nuove dinamiche e di nuove persone diverse da quelle da esse generate nella prima stagione del carisma» (p. 87). Perché un carisma sia vivo e continui a incidere nella realtà (e il medesimo discorso vale anche per la Tradizione della Chiesa), deve essere costantemente animato non da uno statico richiamo ad assumere una forma passata di esistenza, ma dalla novità che lo raggiunge da davanti, facendo così riaccadere, nel presente, quello stesso dono (sempre nuovo) che era stato già offerto al fondatore.