Il debito sovrano è il vero problema degli Stati?

bancadi Leonardo Salutati • Secondo alcuni economisti e osservatori il debito privato è molto più importante e preoccupante di quello pubblico. In particolare il debito delle banche e il debito a breve termine. In effetti, anche in Europa, le banche sono tra i soggetti più indebitati e si trovano in una situazione molto più rischiosa di quella degli Stati, per cui la vera priorità oggi sarebbe lo “sdebitamento” delle banche piuttosto che l’austerità di bilancio dei vari Stati. È notorio che una delle cause più importanti della crisi, che ormai si protrae da vari anni, trova la sua origine proprio nel settore bancario che, tra l’altro, perpetua il costume perverso di far ricadere sulla collettività gli errori dei banchieri. Infatti la commistione tra l’attività di credito e quella degli affari costringe lo Stato, suo malgrado, a compiere costosi salvataggi per proteggere i depositi dei risparmiatori. A questo proposito ricordiamo che per “salvare le banche” gli Stati nel mondo hanno già messo a disposizione l’equivalente di 4.000 miliardi di euro dal 2008 e che solo la Banca Centrale Europea ha prestato 1000 miliardi di euro tra il dicembre 2011 e il febbraio 2012, circa il 9% del PIL europeo, a un tasso rivedibile dell’1% (poi sceso allo 0,75%) su 3 anni. Tutto questo è possibile anche perché le grandi banche hanno un peso talmente forte da esercitare un efficace potere di ricatto nei confronti della politica, che pare incapace di affrancarsi da tale influenza.

Bisogna inoltre considerare che il mestiere delle banche consiste, in larga misura, nel creare moneta dal nulla. Con le regole in vigore oggi, ogni volta che la banca accorda un prestito, la moneta prestata è per il novanta per cento creata dal nulla, inesistente fino ad un attimo prima. Pertanto, la maggior parte dei debiti che dovrebbero giustificare le sofferenze imposte ai popoli del sud Europa non corrisponde a denaro guadagnato con il sudore della fronte dai lavoratori dell’Europa del Nord, ma corrisponde ad un codice su un computer. Se questo particolare non fosse ignorato nella discussione pubblica probabilmente renderebbe meno accettabile quanto si sta verificando in Grecia, dove con i sacrifici richiesti nei settori dei servizi pubblici, delle pensioni, dei sussidi di disoccupazione, dei sistemi di assicurazione sociale, si sta assistendo a qualcosa che assomiglia sempre di più ad una vera e propria distruzione della società e c’è da chiedersi se la stessa sorte non possa toccare tra poco anche a Portogallo, Spagna e Italia…

Siamo proprio convinti che l’opinione pubblica concordi col fatto che i piani di salvataggio per la Grecia, la Spagna, il Portogallo, Cipro, siano prima di tutto piani per salvare le banche e che la gran parte del denaro prestato dalla Troika in cambio di pesanti “piani di aggiustamento strutturale” torni immediatamente nei bilanci delle banche?

Creare moneta è come irrigare di sangue il corpo sociale, permettendo al sistema economico di funzionare. È dunque molto preciso quello che afferma l’enciclica “Quadragesimo anno“ di Pio XI del 15 maggio 1931, quando stigmatizza la finanza senza regole, parlando di dittatura economica ed utilizzando la metafora del sangue monetario che irrora il corpo sociale con parole che potrebbero essere state scritte oggi:

«E in primo luogo ciò che ferisce gli occhi è che ai nostri tempi non vi è solo concentrazione della ricchezza, ma l’accumularsi altresì di una potenza enorme, di una dispotica padronanza dell’economia in mano di pochi, e questi sovente neppure proprietari, ma solo depositari e amministratori del capitale, di cui essi però dispongono a loro grado e piacimento. Questo potere diviene più che mai dispotico in quelli che, tenendo in pugno il danaro, la fanno da padroni; onde sono in qualche modo i distributori del sangue stesso, di cui vive l’organismo economico, e hanno in mano, per così dire, l’anima dell’economia, sicché nessuno, contro la loro volontà, potrebbe nemmeno respirare. Una tale concentrazione di forze e di potere, che è quasi la nota specifica della economia contemporanea, è il frutto naturale di quella sfrenata libertà di concorrenza che lascia sopravvivere solo i più forti, cioè, spesso i più violenti nella lotta e i meno curanti della coscienza» (QA 105-107).

Forte della sua fedeltà all’uomo e al suo vero bene, la Chiesa con Giovanni Paolo II nel 1991 chiedeva con forza che la libertà nel settore dell’economia fosse inquadrata in un solido contesto giuridico che la mettesse al servizio della libertà umana integrale e la considerasse come una particolare dimensione di questa libertà (CA 42) e recentemente, nell’autunno del 2011, il Pontificio Consiglio Giustizia e Pace ha chiesto alcune riforme strutturali del sistema finanziario, precise ed esigenti: l’imposizione di una tassa sulle transazioni finanziarie, la separazione dell’attività bancaria, la ricapitalizzazione sotto condizione delle banche. Ad oggi nessuna di queste richieste ha avuto una risposta concreta.