Lavoratori contro lavoratori ?

Alessandra_Bocadi Giovanni Campanella • L’inganno generazionale – Il falso mito del conflitto per il lavoro è un piccolo saggio che tratta di lavoro e pensioni. A prima vista, sembra agile e divulgativo. In realtà, è un libro tecnico, di non facilissima lettura, accompagnato dall’analisi rigorosa di vari dati statistici. Non per nulla, le autrici sono Alessandra del Boca, professore ordinario di Politica economica all’Università di Brescia, e Antonietta Mundo, specialista nel campo statistico-attuariale. Il libro è stato pubblicato dall’Università Bocconi nel maggio 2017 all’interno della collana “Itinerari”.

Sono toccati vari temi, tra cui quello del “nefasto” divario tra facoltà scelte dai giovani italiani e quelle più utili alle imprese e quindi suscettibili di procurare maggiori retribuzioni (questione che invero potrebbe stridere un po’ con il tema cristiano della vocazione se ha come unico faro di orientamento l’utilità delle imprese e la maggiore remunerazione: la visione cristiana non annulla i bisogni degli altri ma chiede però di rispondere alla propria chiamata interiore usando come mezzo di discernimento anche i bisogni esterni), gli effetti del commercio globale e del progresso tecnologico sul lavoro, le ultime riforme del lavoro (tra cui il Jobs Act), le otto salvaguardie a favore di particolari categorie di lavoratori e il problema della riduzione della popolazione.

L’elemento centrale del saggio e forse più interessante (analizzato più in dettaglio nel sesto capitolo ma che percorre di fatto tutto il libro) è però la meticolosa critica alla cosiddetta “Lump of Labor Theory”, traducibile in italiano con “teoria dello stock fisso di lavoro”. Una conseguenza di questa teoria è l’idea che ritardare il ritiro dalla vita lavorativa riduca l’occupazione dei giovani.

«Questa non solo non è una legge generale, è un’idea basata su due ipotesi prive di fondamento empirico: la prima è che l’occupazione totale di un’economia sia fissa, la seconda è che giovani e anziani siano sostituibili tra loro sul mercato del lavoro. Molti studi economici mostrano che, nei paesi dove i lavoratori più anziani sono più attivi, tutti i gruppi di età ne beneficiano e si creano più posti di lavoro. Studi basati su molte fonti – come Ocse, Eurostat, Current Population Survey dell’U.S. Bureau of Labor Statistics – arrivano alla conclusione che il protrarsi della stagione lavorativa dei soggetti più anziani non produce perdite di lavoro per i giovani, ma ha anzi l’effetto esattamente opposto» (pp. 95-96).

La “Lump of Labor Theory” potrebbe avverarsi nel breve termine, in un momento di particolare staticità dell’economia, ma nel medio-lungo termine i flussi del mercato mutano e invalidano nuovamente tale teoria.

Legando questa questione anche a quella dell’immigrazione, alcuni studi non hanno riscontrato una significativa relazione inversa tra lavoratori immigrati e lavoratori nativi.

«Un altro fenomeno che si è provato a leggere alla luce di questa teoria è la partecipazione all’attività economica delle donne nei paesi Ocse, dalla seconda metà del ventesimo secolo: anche in questo caso, però, le donne aumentando la loro attività non hanno sostituito gli uomini e anzi il passaggio da uno a due percettori di reddito all’interno di una stessa famiglia ha fatto aumentare il reddito disponibile, creando nuova domanda di servizi e stimolando le imprese ad assumere di più» (p. 98).mundo_antonietta

Ritornando al presunto contrasto tra anziani e giovani, le due autrici ribadiscono che normalmente il pensionamento anticipato non solo non aumenta l’occupazione per i giovani ma anzi la riduce. Perché ? Perché il pensionamento anticipato disincentiva l’impresa ad accumulare capitale umano e inoltre aggrava il peso contributivo per le generazioni attive che quindi consumerebbero meno e decelererebbero così l’attività delle imprese stesse, in modo tale da disincentivarle ulteriormente ad assumere. Oltre a ciò,

«le età estreme sono destinatarie di una domanda di lavoro diversa, che sarà sempre più diversa con l’avanzare della tecnologia. La teoria economica suggerisce che qualsiasi sostituzione di un lavoratore con un altro è governata dalla somiglianza delle capacità che essi posseggono e i dati mostrano che lavoratori con competenze simili, che hanno anche solo cinque anni di differenza, sono imperfetti sostituti, cioè non sono facilmente sostituibili. Il progresso tecnico skill-based, caratteristico dell’attuale fase dello sviluppo che costantemente domanda nuove competenze, può ridurre ulteriormente la sostituibilità tra lavoratori di diverse età» (p. 100).

Più avanti, le autrici ammettono, in linea con un recente lavoro di Boeri, Garibaldi e Moen, che, nel caso particolare della congiuntura italiana, l’occupazione giovanile e quella degli anziani hanno in realtà un trend divergente. Ciò è dovuto soprattutto all’inefficienza del mercato italiano del lavoro.

«La riforma pensionistica ha avuto un suo peso nell’aumento dell’occupazione delle fasce più anziane, in questo periodo, perché i lavoratori sono stati trattenuti al lavoro per legge, tuttavia un ruolo importante va attribuito anche al funzionamento del mercato del lavoro: nei paesi in cui funziona bene, dove cioè la domanda incontra l’offerta qualificata o generica, questo fenomeno non si verifica. Purtroppo non è questo il caso dell’Italia, mentre è ciò che accade in Germania e in Norvegia e in altri paesi che pure hanno avuto riforme pensionistiche, ma che hanno un mercato del lavoro che funziona bene e non hanno aumenti della disoccupazione giovanile e dell’occupazione anziana. (…). Lavorare da anziani significa invecchiare meglio, ma anche poter contribuire alle necessità della famiglia allargata ed è un bene per l’intera società» (p. 104-105).

Dunque, niente più diffidenza tra lavoratore e lavoratore ! Ancora una volta la scienza convalida la ragionevolezza e la convenienza della cooperazione tra gli uomini.