Con le parabole verso l’Assunta

di Carlo Nardi • Diciassettesima domenica del tempo ordinario con la parabola della rete dal Vangelo secondo Matteo (13,47-50). Notavo che quel che è tradotto in italiano con “pesci cattivi” nell’originale greco è “pesci marci” (saprá). Sì, proprio l’aggettivo che si usa per un che di tarlato o di putrefatto col puzzo che ne segue.

Ora, è poco probabile che pesci appena pescati, anche se non commestibili, siano bell’e puzzolenti prima d’esser tirati fuori dalla rete, soprattutto sul lago di Galilea o nel Mediterraneo di duemila anni fa che non dovevano sostenere gl’inquinamenti attuali. Come mai? Probabilmente quell’attributo, riferito a pesci appena pescati, rimanda già alla conclusione della parabola: “così avverrà alla fine di questo mondo”, dice Gesù, a proposito di giudizio universale. I pesci di cui parla siamo noi, che rischiamo di trovarci mucidi quando “Lui verrà nella gloria a giudicare …”.

Difatti Gesù parla di “fuoco, pianto e stridore di denti”, le parole che usa per parlare della geenna, con un altro particolare, quello del “verme che non muore” (Mt 9,48), verme che continua la sua tarlatura, avviata nel tempo, ma corrosiva per l’eternità.

Certo, sono immagini fantasiose, ma preziose, da non liquidare, perché fanno pensare e forse decidere.

Decidersi, appunto. Iddio comanda al profeta Geremia di comprarsi una cintura. Geremia la indossa stretta stretta ai fianchi. Poi la vada a mettere in una fessura aperta all’umidità che esala sul greto del gran fiume Eufrate: è l’ordine di Dio, ordine davvero strano. Dopo qualche tempo torni a vedere che ne è di quella cintura. Geremia va e la trova marcita. È un’azione simbolica articolata in una serie d’immagini agite come in un cortometraggio, una specie di parabola vissuta: lontani da Dio s’imputridisce, aderendo a Lui si vive (Ger 13,1-11).

Che si vive, lo suggeriscono altre parabole: brevi come istantanee parlano di un lievito che ravviva tutta la pasta, di un seme piccino piccino che si fa albero pieno di nidi, a loro volta in un tripudio di vita. Così il Signore racconta il suo regno che è Lui stesso (Mt 13,31-33).

Insieme alla liturgia ordinaria di queste domeniche, aiutano a vivere la vita cristiana le ricorrenze di agosto, previste dal calendario per il sei e il quindici. Penso alla Trasfigurazione e all’Assunta, due feste che ravvivano la pasqua e parlano di risurrezione: sanno di luce, celebrano il corpo trasfigurato di Cristo ormai risorto e vivo per sempre, e il corpo di Maria assunta, inondato della luce del Figlio.

Per trovare traccia dell’Assunta nella Sacra Scrittura ci vuole molta fantasia. Fantasia perspicace. Quel “gratificata” (kecharitōméne) nel saluto dell’angelo alla Vergine che san Girolamo tradusse o trovò già tradotto con gratia plena, il “piena di grazia” dell’avemmaria (Lc 1,28), è un piccolo seme che nella consapevolezza di fede della Chiesa diventa albero: un ramo di quell’albero è la fede pasquale nella vera assunzione corporea della Vergine. L’Oriente greco, pare fin dai primi secoli, ha avuto sentore di qualcosa. Con i suoi racconti romanzati ha parlato di dormizione della Maria e di una sua morte e risurrezione. Hanno fatto eco predicatori (Efrem il Siro, Timoteo e Modesto di Gerusalemme, Germano di Costantinopoli, Andrea di Creta, Giovanni di Damasco), e forse architetti e committenti: la maggior parte delle chiese dedicate alla Madonna – anche la nostra cattedrale, Santa Maria del Fiore – sono dedicate all’Assunta, da quando il papa Sergio (687-701) solennizzò la festa del 15 agosto. Tant’è che la definizione dogmatica del 1° novembre del 1950 parve una cosa naturale, s’intende al senso soprannaturale della fede del popolo di Dio, che il papa Pio XII volle accertare puntigliosamente prima di procedere alla definizione, fino a informarsi dai vescovi se il nome Assunta o Assuntina era diffuso nelle loro chiese.

L’Assunta è la festa mariana più vicina per i suoi contenuti alla pasqua. È la pasqua di Maria, madre di Dio fatto uomo, perché, come dice la liturgia, “non era possibile che conoscesse la corruzione”, lo sfacelo “del sepolcro Colei che ha generato l’Autore della vita”.

In lei si trova pienezza di vita personale: in lei, unica persona umana in senso proprio nella pasqua definitiva; in lei donna. La pasqua femminile di Maria orienta il culto della Chiesa, con i suoi segni concreti, alla risurrezione pienamente umana (Casel). Nella pasqua di Maria trova un senso il misterioso “gemito della creazione” (Rm 8,22. cf. 19-25), sospiro della materia (La Pira) e grido del guazzabuglio della nostra umanità, come l’urlo dell’antico Giobbe (Jung).

Sicché finire tra i “pesci rancidi” sarebbe proprio una stupidaggine. La più “bella” stoltezza. E intanto Maria, la madre del buon consiglio, prega per noi. A prevenirci.