” L’unitarietà della visione dell’essere in Tommaso d’Aquino. Un libro di Pietro Coda”

di Dario Chiapetti • In un contesto come quello attuale in cui l’uomo sembra aver smarrito quella cristallina percezione del darsi dell’essere creato a partire dal libero atto creatore di Dio che pone in essere tutto ciò che esiste, della libertà come atto che realizza l’essere e non il nulla, dello status antropologico di ‘creatura’ e perciò stesso della sua dignità e vocazione; in un contesto in cui l’uomo sembra aver smarrito la domanda circa il nesso tra l’attimo presente e la sua causa finale, efficiente e formale, tra fede e ragione, il teologo P. Coda presenta il suo contributo: “Contemplare e condividere la luce di Dio. La missione della Teo-logia in Tommaso d’Aquino” (Città Nuova, 2014), volume della collana “Contributi di teologia” che raccoglie brevi saggi che espongono e avviano ipotesi di lavoro sui temi teologici più attuali. Coda accoglie così l’indicazione del Concilio Vaticano II di guardare all’Aquinate come colui che ha mostrato il “retto modo di fare teologia” (Fides et ratio, 43) tentando di riapprocciarsi alla sua figura e teologia spesso impoverite dalla corrente di pensiero che da essa si è sviluppata. Coda sceglie di partire dalla considerazione degli aspetti storici, sociali e culturali in cui il grande Dottore della Chiesa si è formato, evincendo e analizzando gli elementi che maggiormente hanno influito nella strutturazione del suo volto di teologo (Dionigi, Agostino e Aristotele) e che, passando attraverso la rielaborazione originale e creativa del suo genio, hanno formato la sua concezione riguardo ai principi su cui si fonda la sua teologia (natura, soggetto e metodo) e alla figura stessa del teologo. L’Autore si concentra poi sulla riflessione trinitaria così come viene impostata e sistematizzata nel De Deo, ovvero la prima parte della Summa Theologiae e in particolare relativamente alle prime 6 quaestiones.

La grande premessa di tutta l’impostazione della riflessione di Tommaso e ciò che scandisce di tale riflessione i suoi passi e ai cui risultati fa arrivare è la concezione antropologica di cui egli, pensatore capace di un così profondo sguardo unitario e onnicomprensivo sulla realtà, poteva farsi portavoce: l’uomo come essere creato, il cui fine è raggiungere Dio stesso. Esso da un lato trova iscritto nella sua struttura ontologica il desiderium di Dio come un qualcosa di “quasi ignoto”, dall’altro tende per sua natura, con tutto se stesso, anche con l’apporto dell’intellectus e della ratio a quella somiglianza con l’Essere di Dio.

A partire da tale visione antropologica l’Autore illustra la fenomenologia della conoscenza di Dio: dalle constatazioni dell’impossibilità per l’uomo di sapere in questo mondo quid Deus sit e che dalla realtà creata, intesa come testimonianza degli effetti dell’azione di Dio, la ratio giunge alla risposta (affermativa) riguardo all’interrogativo an Deus sit, Tommaso può procedere ad argomentare come essa possa giungere ad osservazioni ulteriori sul quomodo Deus sit vel potius non sit. Solo a questo punto l’uomo, trovandosi a non poter procedere oltre, si apre intelligentemente e fondatamente all’apporto conoscitivo della rivelazione divina. Tale dimensione conoscitiva scaturisce dalla natura stessa di autocomunicazione di Dio svelante l’Essere e pertanto connessa alla conoscenza della verità che, se accessibile dalla fede (intesa dal Dottore come vero e proprio metodo di conoscenza) non esclude tuttavia nessun legittimo coinvolgimento della ragione. Solo con la rivelazione (in cui peraltro Cristo gioca un ruolo centrale sia di mediazione di ‘parola’ tra Dio e l’uomo sia di svelamento dell’identità dell’Uno e dell’altro e della relazione che sussiste tra di esse) si giungerà a un’ulteriore conoscenza del mistero trinitario che si compirà nella visio beatifica finale. Ora, nell’entrata in scena della fede che accoglie i contenuti della rivelazione, la ratio fide illustrata non solo non sparisce ma si vede potenziata e abilitata a svolgere il suo compito di argomentazione della verità contemplata in modo ancora più lucido: dalla rivelazione l’uomo riceve luce per comprendere tutta la realtà sub ratione Dei. Ecco come da tale percorso di Tommaso che l’Autore ripercorre si constata come “Il movimento della metafisica (filosofica) dell’Essere e quello della metafisica (teologica) della Trinità, pur restando distinti, per oggetto e metodo, son dunque armonicamente convergenti e per più versi comunicano l’uno con l’altro” (p. 154).

In tale visione unitaria dell’Essere anche la teologia viene ricompresa come scientia (il cui statuto epistemico è fondato sulla verità oggettiva della rivelazione e sulla nativa capacità della ratio umana) e come sapientia (cioè come visio Dei grazie all’azione dello Spirito, nella quale, ancora una volta, sia l’intuizione sia il discorrere razionale concorrono).

Il teologo, pertanto, è colui che è chiamato a fare esperienza di Dio, un’esperienza esistenzialmente  ‘visiva’, ad entrare nel suo ritmo trinitario, ad abitarlo e una volta contemplato a exire, come il Figlio dal seno del Padre per farLo conoscere al mondo intero. Ecco perché in Tommaso figura del teologo e del predicatore coincidono: contemplari et contemplata aliis tradere.