Unicità del presbiterio diocesano nelle diverse tipologie di appartenenza e provenienza dei presbiteri
di Francesco Romano • La mattina del Giovedì Santo il Vescovo diocesano concelebra la messa crismale con i presbiteri della diocesi. In questa circostanza risaltano con tutta evidenza i legami di fraternità sacramentale che rispecchiano l’unicità del presbiterio diocesano.
I testi conciliari (cf. Presbyterorum ordinis, n. 8; Lumen gentium, n. 28; Christus Dominus (CD), n. 28) pongono le premesse per l’approfondimento sulla natura del presbiterio diocesano nel suo costituirsi in relazione all’istituto dell’incardinazione, ma aprendosi anche a una partecipazione più ampia, come conseguenza della cooperazione con il Vescovo diocesano di tutti i sacerdoti – diocesani, religiosi o “trasmigrati” da altre Chiese particolari dove sono incardinati – nell’esercizio dell’unico sacerdozio di Cristo.
Il Codex del 1983 lascia in forma generica le nozioni di presbiterato e di presbiteri, mentre per il presbiterio diocesano non viene espressamente detto chi ve ne faccia parte. Presbiteri sono i chierici che hanno ricevuto l’ordine del presbiterato (cann. 1015 §1 e 1031 §1). L’identità dei presbiteri come tale non viene contraddistinta dal Codex per la loro appartenenza al clero secolare o regolare, bensì per la comunione gerarchica e la missione sacerdotale in quanto «partecipi pur essi del sacerdozio di Cristo, come suoi ministri sotto l’autorità del Vescovo, sono consacrati per la celebrazione del culto divino e per la santificazione del popolo» (can. 835 §2).
Il can. 757 in conformità alla mens del Concilio definisce semplicemente i presbiteri come «cooperatori dei Vescovi». Quindi, un rapporto di collaborazione esteso quanto lo consente l’esercizio dell’ordine sacro che va oltre l’incardinazione arrivando a coinvolgere tutti i presbiteri della diocesi anche in forza della residenza o di un ufficio ecclesiastico conferito.
Per lo stesso rapporto di collaborazione i presbiteri come tali, senza altra loro specificazione di appartenenza o di provenienza, senza riferimento all’incardinazione o a un ufficio, sono resi meritevoli della sollecitudine da parte del Vescovo diocesano della circoscrizione ecclesiastica in cui si trovano a svolgere il loro ministero sacro (cann. 384; 757). Il rapporto di cooperazione con il Vescovo diocesano non nasce solo per effetto dell’incardinazione del presbitero, ma anche per la sua permanenza nella diocesi a diverso titolo da inquadrarlo come parte del presbiterio diocesano.
Le categorie come clerus dioecesanus (CD, n. 28) e clerus dioecesis (CD, n.34) nel Codex 1983 non compaiono più con riferimento esclusivo al presbitero secolare.
Il Codex ha universalizzato il termine “presbitero” includendovi nel significato tanto i presbiteri incardinati nella diocesi che quelli incardinati negli istituti religiosi o nelle società di vita apostolica, ma presenti a particolare titolo nella diocesi.
Presbiteri religiosi o presbiteri non incardinati in una diocesi, ma presenti in essa per un servizio, possono entrare a far parte del collegio dei consultori purché membri del consiglio presbiterale (can. 502). L’amministratore diocesano può essere eletto tra i presbiteri non necessariamente incardinati nella diocesi, quindi anche extradiocesani e religiosi (can. 425).
La partecipazione al consiglio presbiterale come diritto attivo e passivo di elezione, oltre ai sacerdoti secolari incardinati nella diocesi, spetta anche ai sacerdoti secolari non incardinati e ai sacerdoti religiosi o membri di una società di vita apostolica che dimorano nella diocesi ed esercitano qualche ufficio a vantaggio della stessa (can. 498 §1).
In un caso, il Codex specifica che il termine presbitero include anche il sacerdote che è incardinato in un istituto di vita consacrata allorché il Vescovo deve provvedere alla compilazione triennale dell’elenco di presbiteri da proporre alla Santa Sede per la promozione all’ordine dell’episcopato (can. 377 §2).
Da qui ne deriva il senso profondo del legame che unisce ogni presbitero, indipendentemente dall’incardinazione, al presbiterio diocesano per l’imprescindibile comunione con il Vescovo nella partecipazione all’unico sacerdozio di Cristo. Il legame che unisce il presbiterio è la comunione sacramentale, l’unione fraterna. L’ordine del presbiterato non è di carattere giuridico, non è persona giuridica. Il presbiterio attua la cooperazione con il Vescovo nella funzione pastorale di insegnare, santificare e governare. In particolare, per gli istituti religiosi e le società di vita apostolica, la diocesi è luogo dove essi trovano la loro dimensione storica anche relativamente all’esercizio dell’ordine del presbiterato.
Quindi, a ben vedere, il ministero del chierico è sempre gerarchico per se stesso e non in virtù dell’incardinazione. Per i chierici religiosi, infatti, pur essendo incardinati in una struttura associativa e non gerarchica, il loro ministero e l’esercizio di esso è ugualmente gerarchico per natura e non per appartenenza.
Il comune denominatore che nella diocesi uniforma “l’uno e l’altro clero” (Optatam totius, in EV, vol. 1, Proemio, p. 417; Apostolicam actuositatem, in EV, vol. 1, n. 23, p. 560 e n. 25, p. 562), è l’inclusione di entrambi nello stesso e unico presbiterio diocesano come espressione di dipendenza gerarchica dal medesimo Vescovo nell’esercizio dell’ordine sacro.
La Chiesa particolare che accoglie il presbitero non lo considera un ospite, ma lo ammette a far parte dello stesso presbiterio diocesano per i vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità: «Ciascun sacerdote, sia diocesano che religioso, è unito agli altri membri di questo presbiterio, sulla base del sacramento dell’ordine, da particolari vincoli di carità apostolica, di ministero e di fraternità. Tutti i presbiteri, infatti, sia diocesani sia religiosi, partecipano all’unico sacerdozio di Cristo capo e pastore, lavorano per la stessa causa, cioè l’edificazione del corpo di Cristo» (Pastores dabo vobis, in EV, vol. 13, p. 667, n. 31).