Padre Cappello. Il professore in confessionale
di Francesco Vermigli • La Chiesa di Sant’Ignazio in Campo Marzio è una delle più celebri tra quelle costruite nella Roma della Controriforma. Chi entra, viene attratto dalle impareggiabili pitture prospettiche frutto del virtuosismo di Andrea Pozzo o dai sepolcri dei santi dell’epoca d’oro della Compagnia di Gesù, come Roberto Bellarmino o Luigi Gonzaga. Entrando, forse, il visitatore scorgerà anche un confessionale ricolmo di ex-voto: un confessionale come tanti, ma il confessore che lì esercitò il proprio ministero per quarant’anni, fu noto come “il confessore di Roma”.
Si è chiusa il 24 giugno dello scorso anno la fase diocesana del processo di beatificazione di padre Felice Cappello, nato a Caviola, presso Falcade l’8 ottobre 1879, imparentato per parte di padre con la famiglia da cui proverrà il futuro papa Luciani. Dopo l’ordinazione presbiterale nel 1902, fu prete della diocesi di Belluno per undici anni, insegnante in Seminario e vicario parrocchiale. Nel 1913 – a seguito di una notte passata interamente in preghiera nella grotta di Lourdes – chiese l’entrata nella Compagnia di Gesù. Insegnò diritto canonico al Pontificio Collegio Leoniano di Anagni e poi – dal 1920 e ininterrottamente fino quasi alla morte, avvenuta il giorno dell’Annunciazione del 1962 – presso la Pontificia Università Gregoriana a Roma. Per circa quarant’anni la sua vita romana fu scandita dall’insegnamento nelle aule austere della Gregoriana e dal ministero della confessione sotto le volte affrescate di Sant’Ignazio: giorno dopo giorno, anno dopo anno, due luoghi distanti solo qualche centinaio di passi.
Ma chi era padre Felice Cappello? Il giorno della sua morte, papa Giovanni XXIII scrisse un telegramma in cui invocava «al servo buono e fedele del Signore il premio eterno». Simili parole si leggono nell’epitaffio collocato sopra la tomba che in Sant’Ignazio è poco lontana dal suo confessionale: «religioso piissimo ed esemplare, esimio professore di diritto canonico, illuminato direttore di spirito, instancabile servitore della Chiesa». Forse è proprio il “servizio instancabile” per il bene della Chiesa la chiave interpretativa per capire questa figura singolarissima di professore e padre spirituale. Instancabile fu la sua attività di professore di diritto canonico, lui che da prete bellunese aveva conseguito – dopo la laurea in teologia a Bologna nel 1904 e in filosofia a Roma, presso l’allora Accademia di San Tommaso l’anno successivo – nello stesso 1905 anche la laurea in utroque iure all’Apollinare. Instancabile nell’insegnamento in Gregoriana – che gli assicurarò la stima e il credito di generazioni di studenti – nella consulenza prestata ai dicasteri romani (fra i quali, dal 1925 la Commissione per l’Interpretazione autentica del Codice di diritto canonico e più tardi, soprattutto, la Congregazione per la Disciplina dei Sacramenti), nella produzione di alcuni trattati che per decenni furono usati nei seminari cattolici; si pensi anche solo a quello sul matrimonio uscito nel 1927. A giudizio degli specialisti, è stato uno dei più grandi commentatori del codice del ’17, per la vastità dell’analisi, per l’acume nella sintesi.
La sua figura di insegnante e di prete pare appartenere a pieno titolo al periodo che come un grande arco unisce la Chiesa dal modernismo agli anni che precedettero il Concilio: quasi simbolicamente padre Cappello muore pochi mesi prima dell’inizio del Vaticano II. Si pensi alla sua produzione nell’ambito del diritto canonico: egli è espressione tra le più significative della manualistica preconciliare, entro la quale la sua ricerca si connota per l’esegesi attenta e fedele del codice pio-benedettino. Ma questa conoscenza del diritto minuziosa e precisa si accompagnava sempre con un’attenzione aperta alla realtà dei singoli uomini: interveniva in lui, cioè, quell’arte tipica del padre spirituale di riconoscere i tempi e i modi giusti con i quali declinare nel concreto i principi e le norme, su cui come docente spendeva larga parte del proprio studio e del proprio insegnamento. Si narra che fosse solito rispondere: “nel trattare con le anime si devono tenere presenti i trattati, ma non si dovranno dimenticare le anime in concreto”. Fedeltà ai principi e conoscenza delle norme da un lato, capacità di saperli dosare per il bene delle anime: un equilibrio che centinaia, migliaia di uomini e donne per decenni hanno saputo trovare nella paziente opera del confessore della chiesa di Sant’Ignazio. Un’arte, una sapienza, un acume che rende padre Cappello discepolo di quel principio cardine della vita ecclesiale, che verrà consacrato dalle parole con cui si chiude il codice di diritto canonico dell’83: suprema lex Ecclesiae salus animarum. Solo la fedeltà a questa legge suprema che regge e governa la Chiesa, riesce, credo, a spiegare pienamente il tratto singolarissimo della sua figura di prete, insegnante, confessore.