Quando trinitario è anche il pensare …
di Alessandro Clemenzia • In occasione dei 20 anni dalla morte del filosofo e teologo Klaus Hemmerle, il Dipartimento di Ontologia trinitaria dell’Istituto Universitario Sophia, in collaborazione con altre realtà accademiche, ha organizzato a Trento un Seminario internazionale dal titolo: L’ontologia trinitaria tra filosofia e teologia. Sulle orme di Klaus Hemmerle pensatore di frontiera (14-16 dicembre 2014). L’incontro, luogo di dialogo tra docenti e studenti impegnati in quest’ambito di ricerca, ha voluto recuperare, approfondire e sviluppare la portata teologica, filosofica e transdisciplinare del vescovo di Aquisgrana, a partire dalle intuizioni più originali contenute nella sua più celebre opera Thesen zu einer trinitarischen Ontologie, Tesi di ontologia trinitaria (1976), scritta in onore del settantesimo del collega e amico Hans Urs von Balthasar.
L’espressione “ontologia trinitaria”, pur avendo avuto in Hemmerle la sua rilevanza più profonda, è a lui precedente; e, soprattutto a partire dagli anni ’70, essa ha conosciuto una rapida diffusione ben oltre il territorio tedesco. Ciò nonostante, essa rimane una novità nell’attuale paesaggio teologico.
Ma cosa si intende per “ontologia trinitaria”? Non si tratta, come si potrebbe pensare, di un concetto-sintesi a metà strada tra filosofia e teologia. L’“ontologia” ha di mira la scoperta del senso e della verità che abitano tutto ciò che “è”, al di là di una sua possibile funzionalità. “Ontologia” significa più precisamente dare la parola all’essere, lasciare che sia esso stesso a comunicarsi. Il secondo lemma, “trinitaria”, proprio perché non funge da sostantivo ma da aggettivo, è in qualche modo la qualificazione di ciò di cui si sta parlando, e allude al ritmo stesso del dirsi e del darsi dell’essere. Ma per cogliere tale dinamismo nella realtà è necessario che il soggetto si inserisca all’interno del ritmo trinitario, che “abiti” quel “luogo”, che è Dio stesso, all’interno del quale unicamente egli può arrivare ad una comprensione nuova di tutto ciò che è; ciò avviene perché tale sguardo è intriso delle stesse caratteristiche del luogo da cui guarda: in tal modo è possibile leggere e interpretare la realtà trinitariamente.
In un senso più stretto, teologicamente inteso, l’ontologia trinitaria vuole argomentare l’“unità” di Dio alla luce della sua trinità. Nei diversi dizionari il termine “unità” viene presentato in modo monocromatico, tanto da risultare, nella sua interpretazione, il contrario di “molteplicità”, “differenza”, “diversità”, “distinzione”, e, contemporaneamente, un sinonimo di “identità”, “semplicità”, “singolarità”, arrivando addirittura a dar vita ad altri termini come “univocità”, “uniformità”, “universalità”. Teologicamente inteso, invece, il concetto di unità non può non tener conto del dato prettamente relazionale, e dunque plurale: di quella unità trinitariamente differenziata in sé. Una tale operazione concettuale richiede di pensare l’unità e la trinità di Dio nella loro più feconda inter-relazione e compenetrazione.
Nonostante la plurisecolare chiarezza dogmatica sull’unità della natura e la trinità delle Persone, si possono scorgere tuttavia, ancora oggi, tentativi teologici che argomentano il rapporto tra unità e distinzione in modo così differente tra loro da giungere, spesso, a conclusioni discordanti (senza per questo andare minimamente a intaccare il fondamento dogmatico).
L’“ontologia trinitaria”, pur essendosi sviluppata nella seconda metà del XX secolo, ha una prospettiva logica e teoretica che trova i suoi prodromi nei grandi pensatori della tradizione; basti pensare ad Agostino d’Ippona, Tommaso d’Aquino, Dionigi l’Aeropagita, Bonaventura, che sono stati dei pilastri interpretativi per l’odierna riflessione teologica; oltre loro, anche altri pensatori, all’interno dell’ortodossia, possono essere considerati fautori dell’ontologia trinitaria, come P.A. Florenskij e S.N. Bulgakov.
Una caratteristica degna di nota riguarda il fatto che l’ontologia trinitaria, proprio per rispecchiare la realtà più profonda che esprime, non può presentarsi riducibile ad un unico modo di riflettere, con categorie univoche, all’interno di un sistema concettuale chiuso, definitivo ed escludente: ciò infatti non la farebbe essere ciò che è! Essa invece è se stessa nel momento in cui la sua identità rimane aperta, dinamica, non si fa scuola di pensiero strutturalmente omologato, ma sempre orizzonte interpretativo dialogico. Proprio per questo, paradossalmente, non si può parlare di “ontologia trinitaria” al singolare.
Attraverso questa stretta interazione tra filosofia e teologia, l’ontologia trinitaria si presenta oggi, con tutta la sua portata, come proposta che non vuole offrire “qualcosa” di nuovo rispetto al già dato, ma desidera rivolgere l’attenzione al “come” si guarda la realtà nella sua interezza: in altri termini, è un vedere il vedere stesso.