Il primato del matrimonio religioso

 

matrimonio-civiledi Andrea Drigani • I Codici della Chiesa Cattolica, sia quello latino (can. 1059 CIC) sia quello orientale (can. 780 §1 CCEO), affermano che il matrimonio dei cattolici, anche quando sia battezzata una sola parte, è retto non soltanto dal diritto divino, ma anche da quello canonico, salva la competenza dell’autorità civile circa gli effetti meramente civili del medesimo matrimonio. Per effetti civili s’intendono le norme sull’eredità, la dote, la pensione di reversibilità, il cognome. Lo Stato regolamenta tali effetti civili o con il cosiddetto «matrimonio civile» oppure, tramite accordi con le confessioni religiose e a certe determinate condizioni, può concedere il riconoscimento degli effetti civili ai matrimoni celebrati nelle confessioni stesse. Lo Stato comunque si riserva il diritto di revocare, su istanza delle parti, il riconoscimento degli effetti civili, dichiarandone, con un apposito atto, la cessazione. Il Codice Civile del Regno d’Italia, promulgato il 25 giugno 1865, introduceva l’obbligatorietà della forma civile del matrimonio, togliendo ogni valore ed effetto legale al matrimonio religioso. La Sacra Penitenzieria Apostolica con un’Istruzione del 15 gennaio 1866, nel ricordare che per i cattolici il matrimonio era uno dei sette sacramenti da celebrarsi secondo le prescrizioni del Concilio Tridentino, e pertanto l’inosservanza della forma canonica rendeva invalido il matrimonio, tuttavia si precisava che, dopo il matrimonio «coram Ecclesia», nell’intento di evitare sanzioni penali, per il bene dei figli e per allontanare il pericolo della poligamia si poteva eseguire la cerimonia civile. In Italia fino al 1929 vi erano, per i cattolici, due matrimoni ben distinti e inconfondibili: quello sacramentale da celebrarsi in chiesa e quello civile da contrarre in Municipio. Nel 1929, coll’articolo 34 del Concordato Lateranense, venivano stabilite le modalità per l’attribuzione degli effetti civili al sacramento del matrimonio, creando quella fattispecie giuridica che venne denominata «matrimonio concordatario», cioè un matrimonio valido sia per l’ordinamento della Chiesa che per l’ordinamento dello Stato. E’ da notare che a quell’epoca il matrimonio civile era identico, quasi da essere una copia, al matrimonio canonico, anche in riferimento all’indissolubilità del vincolo. Con la Legge 1 dicembre 1970 n.898, confermata dall’esito referendario del 1974, lo Stato Italiano introduceva il divorzio, disciplinando i casi di scioglimento del matrimonio civile e di cessazione degli effetti civili del matrimonio canonico; terminava in tal modo il riconoscimento giuridico «semel pro semper» da parte dello Stato nei confronti del sacramento del matrimonio. Il matrimonio concordatario, a questo punto, si collocava nei due ambiti (ecclesiale e statale) con una duplice e assai differente valenza. Non è esagerato ritenere che questo nuovo contesto abbia avuto una qualche influenza sul formarsi del fenomeno dei battezzati divorziati risposati civilmente. La Chiesa prese atto, e non poteva fare altrimenti, della riformata legislazione statale e all’articolo 8 dell’Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana sottoscritto nel 1984, si confermavano le disposizioni per ottenere il conferimento degli effetti civili al sacramento del matrimonio, con l’ovvia constatazione che tale conferimento non è permanente, bensì revocabile ai termini di legge. Anche nelle Intese stipulate dallo Stato Italiano con le confessioni religiose diverse dalla cattolica, sono indicate le modalità per acquisire il riconoscimento civile dei matrimoni confessionali. Nell’Intesa con l’Unione delle Comunità Ebraiche vi è però un’affermazione di notevole interesse laddove si dichiara: «Resta ferma la facoltà di celebrare e sciogliere matrimoni religiosi, senza alcun effetto o rilevanza civile, secondo la legge e la tradizione ebraiche». In tal maniera viene proclamato il valore primario del matrimonio religioso al di là di ogni riconoscimento civile, che comunque non è escluso. Oggi il matrimonio civile in Italia, e ancor di più in altri Stati, è divenuto un istituto flessibile e precario, perché non ha accolto i principi del matrimonio secondo l’ordine della Creazione; appare sempre più un contratto che può essere sciolto o per mutuo consenso o per cause ammesse dalla legge, ed è perciò molto diverso dal sacramento del matrimonio. Il ricorso agli effetti civili, come già osservava l’Istruzione della Penitenzieria del 1866, può essere utile ed opportuno, ma la dignità sacramentale del matrimonio cristiano deve avere un suo primato nella vita della Chiesa e nelle scelte dei battezzati, cercando di evitare compromessi ambigui ed equivoci che sono solo forieri di confusione e di disordine.