Per chi non lo sa. Le burrasche di sant’Anna.

uwKCIDHldi Carlo Nardi • Il luglio, di solito assolato e assetato, fa auspicare una materna ricorrenza con “ricadute” provvidenziali: la memoria liturgica di sant’Anna, il ventisei del mese, con le sue burrasche refrigeranti. Dunque, acquate e sant’Anna.

Del nome e della vicenda, vita morte miracoli, di lei, mamma della Madonna e nonna di Gesù, tacciono gli scritti canonici del cristianesimo. In parole povere, non si trovano nel Nuovo Testamento. Eppure notizie di una devozione antica, probabilmente dal secondo secolo in poi, giungono da una letteratura cristiana motivata da una pia curiosità che, non paga della sobria essenzialità dei quattro vangeli riconosciuti dalla grande Chiesa, mira, forse per una inconscia paura del vuoto, a riempire imbarazzanti zone d’ombra.

Gli antefatti dell’infanzia di Gesù – quella tratteggiata nei Vangeli secondo Matteo e Luca (capp. 1-2) – fanno la loro comparsa nel cosiddetto Protovangelo di Giacomo o meglio Natività di Maria, risalente in parte al secondo secolo, e in numerosi scritti ancora più tardi, come lo pseudo Matteo, opere note ai primi scrittori cristiani, compreso il dottissimo Girolamo, peraltro sospettoso nei confronti in questa letteratura detta apocrifa, ossia un po’ di sottobanco.

Prima dell’annunciazione nel Protovangelo di Giacomo è rammentata Anna, un nome che non è senza un perché. Anna fu la madre di Samuele, gratificata del figlio insperato da parte di Dio al quale il piccolo è offerto. Anna è sterile e finalmente madre per un particolare intervento di Dio, come nel caso di Sara, madre di Isacco, come nella vicenda della madre di Sansone, di Elisabetta, madre del Battista, madri di personaggi chiamati a grandi cose in una totale dedizione a Dio. Anche l’Anna del Protovangelo è liberata da un’incresciosa sterilità, come la giovane Sara del Libro di Tobia è affrancata dall’incapacità di convolare a nozze vitali e feconde fino all’inatteso incontro con Tobia junior, poco più che ragazzo.

Come Sara, anche Anna era schernita per il suo ventre infruttuoso. Eppure diffonde il profumo di una supplica a Dio dai risvolti cosmici: rende partecipi della sua sventura uccelli dell’aria, animali terrestri ed esseri acquatici. Finalmente, la sua accorata preghiera è esaudita. Non senza un perché il suo nome parla di grazia e consolazione. Anna comunica un pudico affetto sponsale e una traboccante devozione. Secondo il pio racconto, Maria, la figlia desiderata e insperata, sarebbe stata offerta – il condizionale è d’obbligo – a Dio nel tempio, consacrata a un culto di lode. Maria, scegliendo a sua volta la verginità, accentua, rispetto alla madre bramosa di prole, il valore pressoché inaudito di una verginità in totale sintonia con l’assoluta iniziativa divina: la nascita del Figlio di Dio che si fa figlio dell’uomo senza concorso d’uomo. Pertanto se Maria, la figlia, anche nel Protovangelo, assume nell’integrità verginale la maternità fisica, Anna, come l’antica Sara, assurge a matriarca, essendo l’ultima a garantire la discendenza fisica da Abramo del Figlio di Dio al contempo figlio dell’uomo.

Da queste premesse è del tutto logico che nel prosieguo della sua leggenda sant’Anna succeda alla «bugiarda pronuba» (Manzoni) del paganesimo, Diana o Giunone, per garantire poi, lei nonna, la piena umanità del divino Infante. Si capisce che Anna, da mamma, sia messa in relazione con le acque, con le bramate burrasche per il semplice fatto che dove c’è acqua c’è vita, vita che viene dall’acqua, vita da far sbocciare e quindi, in qualche modo, da annaffiare. Ed ecco sant’Anna rappresentata a insegnare alla Bambina la legge di Dio, come una brava nonna fa ripassare ai nipotini la dottrina e le preghiere, e a sciorinare curiose filastrocche.

A questo proposito ne raccolsi una, riguardante proprio sant’Anna, da una cara parrocchiana – Santa Maria a Quinto a Sesto Fiorentino –, la Lola, una specie di preghiera che non posso fare a meno di riportare:

Anna, sant’Anna, foste balia e mamma.

Quarant’anni viveste e non aveste

né figli né figliole!

Un dì dal cielo un angiol fu calato

e disse ad Anna: Una figlia avrai:

la gran Madre di Dio partorirai.

A questo punto si formulano in silenzio voti e si dice:

Se questa grazia io la devo avere,

fatemela sognare, e vedere

chiesa parata,

prato fiorito

e tavola apparecchiata.

Se questa grazia non la devo avere,

fatemi sognare e vedere

acqua corrente,

fuoco ardente,

spada pungente

che non faccia male ad alcuna gente.

E si conclude con i classici tre ave, pater, gloria. Quel che succede Dio solo lo sa. Non è proprio una preghiera da approvazione ecclesiastica, ma tra quello che gira, non è delle peggio. E poi nessuno la prenderebbe troppo sul serio, e però non farebbe un gran male. Anzi, sant’Anna vi si mostra ancora mamma premurosa, e c’è da ben sperare per qualche acquata davvero provvidenziale: nella sua accorata preghiera, riportata dal Protovangelo, Anna s’indirizzava anche alle acque, vitali e feconde, insomma tutto il contrario della sua sterilità. C’era la memoria del brulicare già nel primo capitolo della Genesi. Nell’apocrifo, dopo il tripudio degli uccelli e la fecondità delle bestie terragnole, ci sono realtà per noi inanimate, che però non erano tali per gli antichi, come le acque vitali della terra madre.