Filosofia del culto di P.A. Florenskij

 

Pavel_Florenskydi Dario Chiapetti Nel contesto di un assetto sociale, economico e politico russo sconvolto dalla rivoluzione bolscevica con le sue avversioni verso la cultura religiosa cristiana e favorente, più o meno direttamente, prospettive razionalistiche o spiritualistiche, il pensatore Pavel Florenskij (1882-1937) si lancia in un’impresa tanto ardita quanto complessa: tenere una serie di lezioni sulla filosofia del culto, impresa il cui valore è accreditato sia dalla scelta intellettuale in sé, ossia di trattare filosoficamente la suddetta tematica, sia dalla modalità della sua attuazione pratica, la scelta di un contesto accademico laico e sotto quella forma dialogata che sono le lezioni universitarie, sia, infine, dal contenuto.

La fede genera il culto e il culto la cultura: questa la tesi centrale di tutto il discorso. In tale prospettiva si assiste all’elaborazione di concezioni di fede, culto e cultura tali per cui la fede e la cultura, sia nel loro esercizio che nella loro riflessione su se medesime, non possono prescindere dal culto, né il culto dalla fede e dalla cultura.

Le lezioni di Florenskij, editate per la prima volta in italiano – Filosofia del culto, San Paolo, Cinisello Balsamo 2016, pp. 596 – dopo quasi un secolo da quando sono state pronunciate, offrono la trattazione fenomenologica, ontologica, teo-antropologica, liturgica e mistica di tutto quanto esposto sopra; trattazione tanto originale, approfondita e estesa da costituire per i più l’opera che, insieme a quello che è ritenuto essere il capolavoro florenskijano, La colonna e il fondamento della Verità, delinea l’itinerario intellettuale intero del nostro Autore.

La fede genera il culto. La fede, relazione fiduciale con Dio, per essere vissuta chiede e necessita di esprimersi in forme, così come Dio stesso nella Scrittura mostra e invita a fare. Da qui prende avvio l’aspetto cultuale che, a sua volta, si esprime, formalmente, in riti liturgici e vive, sostanzialmente, nei sacramenti. Il culto, che ha come centro vitale il sacramento ed è esso stesso «sistema di azioni sacramentali» (p. 240), manifesta mirabilmente la teo-logica di Dio. Il culto è «quella specifica parte della realtà, nella quale si incontrano immanente e trascendente, le cose terrene e quelle celesti, quelle di qui e quelle di là, l’istante fugace e l’eterno, il relativo e l’assoluto, il mortale e l’immortale» (p. 71): kenosi di Dio, realizzazione della comunione con l’uomo e tutto il cosmo e divinizzazione sono i termini che costituiscono la dinamica del sacramento.

Il culto genera la cultura. Altrove Florenskij afferma: «ogni cultura è un sistema finalizzato e saldo di mezzi atti alla realizzazione e al disvelamento di un valore, adottato come fondamentale e assoluto, e dunque fatto assurgere a oggetto di fede». Ora, il valore è tale in quanto realizzazione di un significato ritenuto vitale per l’uomo, in tale prospettiva il culto, e il sacramento in esso celebrato è proprio quell’incarnazione da parte del Logos, Significato supremo, nella sarx. Ma è proprio entrando in tale dinamica costituita dal sacramento, e più estesamente dalla vita sacramentale, che la Chiesa è pervenuta a quella visione culturale generale declinata poi nei vari linguaggi e nelle prospettive di pensiero in cui si è di volta in volta trovata. «Il Significato incarnato – la Persona del Signore Gesù Cristo – è il vero orientamento del pensiero e il culto è l’estensione concreta di questo orientamento» (p. 189): ogni cultura – sostiene Florenskij – è, volente o nolente, estensione del culto e trova nel culto cristiano un valido alleato che ricorda, sprona, guida verso le più alte realizzazioni antropologiche, sociali e ecologiche.

Vengo così all’ultimo aspetto al quale Florenskij riserva un ruolo centrale: l’eucaristia. Essa è concepita, da un lato, come il «sacramento dei sacramenti», dall’altro, come «la base unica e sacra del pensiero vivente, della creatività e dell’ordine sociale». Quanto al primo aspetto, osserva Natalino Valentini nell’Introduzione, «nell’Eucaristia Florenskij scorge l’asse stesso del mondo, il cuore pulsante del culto cristiano, la fonte e il culmine dei divini misteri e della vita stessa della Chiesa» in quanto in essa «il significato supremo si incontra come corporeità e nella sarx riconosciamo il logos» (p. 46). L’amore di Dio, scrive il nostro Autore, «penetrando brucia col fuoco il nostro IO» (p. 69), placa il suo «principio titanico» che lo porta a ribellarsi agli equilibri cosmici e ad/in essi lo riporta, arrivando così a cogliere la Croce come vera e propria entelechia (p. 81). Si è introdotti così nella comprensione del secondo aspetto succitato. L’eucaristia è colta come «la base unica e sacra del pensiero vivente» in quanto lo introduce in un orizzonte nuovo, quello di Dio che fa vedere le cose da Lui, «dall’alto»; «della creatività» in quanto ricrea l’uomo nella sua relazione col tutto e del tutto in lui; «e dell’ordine sociale» in quanto permette di «far uscire l’uomo dalla chiusura soggettiva in se stesso e farlo poggiare su una realtà oggettiva assoluta» (p. 561). All’uomo è chiesta solo una cosa: «un preciso atto di volontà […] il nostro consenso all’ingerenza di Dio nella nostra realtà» (p. 557).