La Didachè. Un libriccino tutto fare

didachedi Carlo Nardi • E dopo che san Paolo ebbe concluso i due anni agli arresti domiciliari a Roma? Per l’appunto, gli Atti degli apostoli non vanno oltre (28,15.30-31). E dopo l’Apocalisse che è fisicamente alla fine delle nostre Bibbie? Si vorrebbe saperne di più. Ora, prima di ricorrere ai romanzoni tra otto e novecento come Fabiola e il Quo vadis, la storia, quella severa, fatta su documenti il più possibile vicini agli eventi, ha non poco da dire. E da dare. C’è tutta una documentazione di scritti in papiri e cartapecora che costituiscono la letteratura cristiana antica, detta anche patristica. Sono le opere appunto dei Padri della Chiesa, personaggi antichi – grosso modo dopo gli apostoli e fino all’ottavo secolo nell’oriente greco e al settimo nell’occidente latino –, di provata dottrina, santi – i santi Padri –, riconosciuti dalla Chiesa stessa, nel contempo loro madre e figlia.

Eppure dello scritto patristico più antico in lingua greca non si sa l’autore. Sembra uno di quei libriccini con le devozioni che si omaggiavano ai ragazzi il giorno della prima comunione, per lo più titolati Filotea o Massime eterne quasi a porre il destinatario sotto la protezione di san Francesco di Sales o di sant’Alfonso Maria de’ Liguori, autori di omonimi trattati di vita spirituale, ben più sostanziosi. C’è il caso che un libretto tra i primini scritti cristiani sia una specie di messalino o di catechismo. Non per nulla si chiama Didachè che vuol dire “dottrina”, «insegnamento dei dodici apostoli alle genti», ossia ai pagani, secondo le disposizioni di Gesù prima dell’ascensione (Mt 28,19).

Il testo, breve, è molto antico. Le frasi di sapore evangelico non dipendono, pare, dalla lettura dei vangeli sinottici, ma dalla trasmissione ancora orale dei “detti” di Gesù, sicché nelle parti più arcaiche il libro riecheggia la predicazione degli apostoli, il ricordo delle parole del Signore.

Che vi si trova? Innanzi tutto, una catechesi sulle “due vie”, quella che porta alla vita, alla salvezza, quella che porta alla morte, alla rovina eterna (cc. 1-5), di sapore biblico (Dt 30,15-20; Sal 1, Ger 21,8), in particolare nel discorso della montagna (Mt 7,13-14). Poi, il culto col battesimo e l’eucaristia nei punti essenziali, ma rilevanti, e il paternostro, e il significato del venerdì e della domenica: c’è anche un accenno a una specie di confessione (cc. 7-10. cf. 14). Seguono tratti di vita cristiana, anche comunitaria, molto concreti (cc. 11-15). Chiunque arriva sia ospitato a modino. Se si trattiene, si dia da fare per trovarsi un lavoro. Non pensi di scroccar desinari (c. 12).

Con tutta onestà, ci si prepara al giorno del giudizio, quando il Signore tornerà con i suoi santi (c. 16). Comunque, facendo ciascuno quello che può. L’importante è una generosa tensione alla fedeltà, sembra dire l’ignoto autore o meglio redattore finale. Serio, ma anche comprensivo. Davvero evangelico (c. 6,2).