La beatificazione di Paolo VI e la chiusura del Sinodo dei vescovi
di Francesco Vermigli • Roma, 19 ottobre 2014. Un sole accecante e una piazza san Pietro colma di fedeli sono stati la cornice della messa presieduta da papa Francesco, all’inizio della quale si è svolto il rito della beatificazione di Paolo VI. È da un po’ di tempo che si respira un interesse crescente per questa figura che ha guidato la Chiesa in uno snodo decisivo della sua storia; quel papa che per tanti – troppi – anni nella vulgata storiografica è stato invece schiacciato sotto giudizi un poco approssimativi e frettolosi, che lo hanno presentato ora come timoroso pontifex che ha traghettato la barca di Pietro lungo i vari passaggi del Concilio e fino ai primi anni della sua recezione, ora, addirittura, come affossatore dello “spirito” conciliare, colui che pose un freno a quello slancio che Giovanni XXIII aveva impresso alla Chiesa con gesto profetico. La distanza temporale dal suo pontificato permette oggi di cogliere negli anni che lo videro governare la Chiesa, al contrario, una capacità di decisione – presa nella solitudine della propria condizione e nella preghiera fiduciosa – davvero non comune: ad uno sguardo di fede, forse in papa Paolo VI si può vedere come possa la grazia divina operare sopra e anche contro predisposizioni caratteriali; come, cioè, la ferma certezza dell’opera del Signore nella propria vita e nella vita della Chiesa trasformi timidezze e titubanze di una personalità schiva e sensibile. Gli esempi che potrebbero essere chiamati in causa, sono molti. Valga qui solo il ricordo della vicenda dolorosa e tuttavia grandiosa dell’enciclica Humanae vitae.
Non è un mistero che la data di domenica 19 ottobre sia stata scelta da papa Francesco per la beatificazione, come ideale conclusione del Sinodo straordinario dei vescovi dedicato alla famiglia, la cui relazione finale è stata presentata in aula e votata il giorno precedente. Colui che scelse di non accogliere l’opinione maggioritaria della Commissione per lo studio della Popolazione, della Famiglia e della Natalità – scelta che condurrà alla redazione dell’Humanae vitae – viene ad assurgere quasi al ruolo di protettore dell’anno che ci separa dal Sinodo ordinario, fissato per l’ottobre del 2015. Un passaggio del motu proprio con cui Paolo VI nel 1965 istituiva il Sinodo dei vescovi, è stato citato nell’omelia della messa da papa Francesco: «scrutando attentamente i segni dei tempi, cerchiamo di adattare le vie ed i metodi … alle accresciute necessità dei nostri giorni ed alle mutate condizioni della società». Come potranno tenersi assieme da un lato queste parole – così chiare nella ricerca di un giusto equilibrio tra ciò che la Chiesa reca con sé dal passato e la capacità di cogliere i segni dei tempi – con l’accusa rivolta a Paolo VI di non aver saputo cogliere proprio quei segni e proprio nell’ambito della sessualità e della riproduzione umane? Forse perché allora quell’accusa fu nella Chiesa e nel mondo ed è talvolta ancora oggi piuttosto ingenerosa. Si tratta al contrario di considerare se quella scelta così sofferta e impegnativa non fosse stata presa proprio alla luce di una valutazione dello spirito dei tempi; non, cioè, a seguito della riproposizione di una teologia ferma a modalità ormai non pienamente in grado di essere accolte, ma nella comprensione delle potenzialità grandi che una ricalibratura in senso personalistico della sessualità e della riproduzione avrebbe potuto offrire alla Chiesa e al mondo. Quelle scelte – allora volte al rifiuto dei mezzi contraccettivi – che ottennero spesso rifiuti e critiche nel mondo e anche dentro la Chiesa, in questi ultimi anni – gli anni segnati dalla tecnoscienza e dalla separazione tra la sessualità e la riproduzione – acquistano un carattere quasi profetico.
In questo, allora, papa Paolo VI può essere protettore di questo anno che immaginiamo denso di discussioni: nella sapiente ricerca di nuovi equilibri tra cosa ereditiamo e cosa oggi viviamo. Nuovi equilibri che non siano il frutto di compromessi di basso profilo e di accordi sottobanco: piuttosto nuovi orizzonti, dilatati dall’azione dello Spirito, così grandi e così vasti da tenere assieme ciò che la Chiesa è e dove la Chiesa va. Nel discorso conclusivo del Sinodo dei vescovi il 18 ottobre il papa ha parlato delle innumerevoli tentazioni che premono sulla Chiesa, quando essa si volge a trattare di temi grandi come matrimonio e famiglia, quando, in ultima istanza, si volge a parlare di se stessa e della sua posizione in questo nostro tempo. La Chiesa è come combattuta dalla tentazione del fissismo e da quello opposto dell’assecondamento dello spirito dei tempi, aprioristicamente accolto senza farlo passare al vaglio esigente del Vangelo. Tentazioni costanti nella storia della Chiesa: in fondo, da sempre questa è la Chiesa, sospesa tra passato e futuro. Nel cammino della storia, ad essa è ogni volta chiesto di cercare nuove vie attraverso le quali rimanere nella fedeltà costante alla voce del suo Signore. Nova et vetera…