La storia delle due case

45888936di Andrea Drigani • Tra i brani evangelici proposti dalla Liturgia per la celebrazione del Sacramento del Matrimonio vi è, com’è noto, la conclusione del discorso della montagna: «Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, sarà simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ma essa non cadde, perché era fondata sulla roccia. Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, sarà simile a un uomo stolto, che ha costruito la sua casa sulla sabbia. Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde e la sua rovina fu grande» (Mt 7,24-27). Mi ricordo che, oltre trent’anni fa, essendo prete da pochi mesi mi apprestavo a benedire, per la prima volta, un matrimonio e il parroco mi suggerì, d’intesa con i nubendi, di usare questa pericope del Vangelo di Matteo. Forse davanti ad un mio cenno di stupore e di perplessità, il parroco mi fece alcune brevi osservazioni, che per me sono state una delle più belle lezioni di teologia del matrimonio. Sposarsi da cristiani, mi disse il parroco, significa costruire il matrimonio e la famiglia sulla roccia che è Gesù, mettendo in pratica le sue parole, in particolare le Beatitudini. La vita matrimoniale e familiare, aggiunse, incapperà inevitabilmente in difficoltà di ogni genere, al posto delle piogge, dei venti, dei fiumi che straripano, vi saranno: incomprensioni, litigi, lutti, sbandamenti sentimentali, problemi nell’educazione dei figli, ristrettezze economiche.  Ma se la casa è fondata sulla fede in Gesù Cristo e sul suo insegnamento, tutto ciò che si abbatte su di essa non produce nessun danno e la casa non cade, cioè il matrimonio non finisce, ma prosegue fino alla fine. Mentre coloro che costruiscono la casa sulla sabbia, sono quelli si sposano riponendo le loro certezze e speranze su cose instabili e aleatorie, che non possono reggere all’urto del tempo e dei rovesci di fortuna. Basta un nonnulla per far cadere tutto. E la rovina di quel matrimonio sarà grande. Il compito della Chiesa è dunque quello di aiutare gli sposi, con l’educazione cristiana, a costruire la loro casa sulla roccia. E’ quanto, peraltro, si afferma sia nel can.1063 del Codice latino che nel can.783 del Codice orientale, laddove si ricorda che tra gli atti da premettere alla celebrazione del matrimonio, vi deve essere la necessaria istruzione sul senso del matrimonio cristiano, perché gli sposi si dispongano alla santità ai doveri del loro nuovo stato; dovranno altresì essere assistiti affinchè avvenga una fruttuosa celebrazione liturgica del matrimonio, in cui appaia manifesto che i coniugi significano e partecipano al mistero di unità e di amore fecondo tra Cristo e la Chiesa. Talvolta, invece, si ha la sensazione che la superficialità e la faciloneria (una nuova forma di buonismo?) abbiano il sopravvento e si faccia accedere alle nozze persone che non si trovano nella condizioni di celebrarle responsabilmente. E’ vero che tutti possono contrarre il matrimonio, ma secondo gli intendimenti e la dottrina della Chiesa. Non esiste, nell’ordinamento ecclesiale, un diritto alle nozze comunque e qualunque. Il Concilio di Trento ha dichiarato che il matrimonio è, in senso vero e proprio, uno dei sette sacramenti e conferisce la grazia, precisando che la grazia viene conferita a coloro che non vi frappongono ostacolo. La dimensione teologale  del sacramento del matrimonio è dunque primaria rispetto a quella contrattuale del matrimonio secondo la Creazione, che troviamo nell’Antico Testamento ed anche in altri ambiti come il diritto romano. Il rapporto tra fede e matrimonio è stato l’oggetto dell’ultimo, e sotto certi aspetti inusuale, discorso di Benedetto XVI al Tribunale della Rota Romana pronunciato il 26 gennaio 2013, pochi giorni prima della sua  rinuncia al ministro petrino. Papa Ratzinger osservava che pur non essendo richiesta la fede personale dei nubendi, ma solo di accettare ciò che intende fare la Chiesa, non era tuttavia possibile separare totalmente l’intenzione con la fede personale dei contraenti. A nessuno sfugge – continuava Benedetto XVI – come sulla scelta dell’essere umano di legarsi con un vincolo che duri tutta vita influisca la prospettiva di base di ciascuno, a seconda cioè che sia ancorata a un piano  meramente umano, oppure si schiuda alla luce della fede nel Signore. Circa tali problematiche Benedetto XVI affermava: «occorrerà promuovere ulteriori riflessioni». Segno evidente che per Papa Ratzinger le attuali considerazioni teologiche e canoniche sul rapporto tra fede e matrimonio non erano da ritenersi completamente esaustive. Penso che sia fondamentale raccogliere questo invito allo studio, anche in vista del prossimo Sinodo ordinario sulla famiglia, avendo sempre dinanzi a noi la storia delle due case.