Sulle tracce dell’altro

download (1)di Alessandro Clemenzia “Possiamo perciò dire che la vera creazione è la comparsa nel mondo dell’altro. Prende avvio da qui, da questa grande storia, l’avventurosa scoperta dell’altro”. Che termini come relazione, reciprocità, alterità, unità e distinzione facciano parte del bagaglio teologico odierno è la realtà stessa ad affermarlo; che questi lemmi, tuttavia, non appartengano in modo esclusivo alla riflessione teologica trova nel breve saggio di Paola Ricci Sindoni, intitolato in modo suggestivo e paradigmatico L’altro (Edizioni Messaggero Padova, 2015), la sua evidenza. Come si palesa nella frase su citata, la questione dell’alterità vede nel principio stesso dell’essere umano la sua origine (da un punto di vista temporale) e la sua condizione di possibilità (da un punto di vista logico). Essa, in altre parole, è ciò che contraddistingue l’uomo, la sua creaturalità, vale a dire il suo essere in relazione a un Creatore che, da un principio precedente alla creazione, ha a che fare con l’alterità. “In principio era l’altro”: così l’autrice rilegge l’inizio del Prologo del vangelo giovanneo.

Ma in cosa consiste la questione dell’altro? Essa non si muove sul piano dell’astrazione, in quanto appartiene alla nostra quotidianità. Parlare dell’altro significa recuperare la tensione relazionale che caratterizza ogni uomo: “non si dà l’altro senza impegnare il proprio sé in un rapporto che dica identità e differenza”. E questo fonda una prima verità fondamentale: è l’esserci dell’altro ad affermare l’esistenza di quell’uno a cui l’altro fa riferimento. Al tempo stesso anche l’uno ha l’altro come parte costitutiva del suo essere, tanto che P. Ricoeur parla non solo dell’altro-da-me, ma anche dell’altro-di-me. Dire “l’altro”, dunque, significa riconoscere sia il principio di alterità sia quello di identità, sia ancora la relazione tra l’io e il tu; anzi, il modo in cui ciascuno entra in relazione con gli altri deve partire da un originario riconoscimento di un noi in cui l’io e il tu si danno reciprocamente.

A partire da questo primo punto, Sindoni individua tre differenti modi in cui l’altro si presenta: come straniero, come estraneo e, infine, come prossimo. L’autrice presenta ciascuno di essi argomentandolo a partire dal contributo di un autore. L’altro appare come straniero (A. Camus) quando la sua identità o non viene accolta o semplicemente non conosciuta: lo straniero è un altro che rimane distante dall’io. L’estraneo invece (J.-P. Sartre) è colui che, pur conferendo identità all’io, con il suo stesso esserci gli si oppone, gli è di impedimento a un pieno esercizio della sua libertà. Il terzo e ultimo modo è l’altro come prossimo: E. Hillesum, giovane olandese morta nei campi di sterminio, proprio in quei luoghi disumani ha compreso in ogni altro un “vicino” con cui condividere il proprio destino; questa dinamica di uscita da una chiusa autoreferenzialità e autocommiserazione per proiettarsi verso il bisogno altrui diviene lo spazio in cui scorgere la presenza dell’Altro.

A partire da queste tre modalità con cui si può riconoscere il volto dell’altro, Sindoni recupera due correnti di pensiero e, in esse, una serie di pensatori che hanno offerto all’odierno scenario culturale un contributo di indiscutibile portata: “l’altro nella dimensione ebraica della filosofia” e “l’altro nella filosofia personalista”. Nella prima viene recuperato il pensiero di E. Lévinas, secondo cui l’altro è qualsiasi presenza, al di là della sua razza, cultura e storia personale; nella seconda quello di M. Buber, per il quale l’altro è il tu grazie al quale l’io può arrivare ad una comprensione di se stesso: l’io e il tu si incontrano all’interno di una inter-relazione (nel fra loro). La filosofia personalista, invece, viene introdotta dal fondamento dell’esperienza cristiana, secondo cui Dio è Uno proprio nella trinità delle Persone, e il Figlio ha rivelato nella sua esistenza terrena, soprattutto nell’evento della croce, un’attenzione particolare verso ogni altro, inteso come suo prossimo. E qui viene ripreso il pensiero di E. Mounier, secondo cui c’è un noi che funge da spazio all’interno del quale l’io e il tu si relazionano tra loro all’interno di un comune esperienza, e di L. Pareyson, che lega l’altro al valore della libertà: attraverso un’eterorelazione (la relazione con l’altro) l’io riesce a recuperare “una qualità ontologica, che suscita atti di libertà”, proprio in quanto la relazione non è un atto inevitabile, ma di libertà.

In questa dialettica e reciproco riconoscimento tra l’io e l’altro, l’autrice individua tre differenti esiti: il primo, dove l’io coglie l’altro come identico a sé, arrivando così a negare la distinzione; il secondo, ove l’altro è totalmente differente dall’io e incompatibile (per cui va eliminato a garanzia della propria sopravvivenza); il terzo, dove l’io guarda all’altro come a un’identità differente da sé, che chiede di essere riconosciuta e accolta proprio in quanto “altra”.

Si tratta di un testo breve e molto denso, che offre al lettore, anche non specialista dell’argomento, la possibilità di incamminarsi lungo il sentiero della prossimità, a partire da una puntuale contestualizzazione filosofica della relazione tra identità e alterità. Un cammino, quello della prossimità, che va intrapreso non per uno scopo da raggiungere, ma per il gusto di percorrere una strada che è di per se stessa luogo di una piena e realizzata umanizzazione.