Troppo Dio? Troppo uomo? La tentazione di un Cristo a mezzo

 

Giotto_di_Bondone_-_No._26_Scenes_from_the_Life_of_Christ_-_10._Entry_into_Jerusalem_-_WGA09206di Carlo Nardi • «Dio si è fatto come noi, per farci come Lui»: come melodia di chiesa non mi pare gran che – ma tutti i gusti son gusti –, ma le parole vanno lasciate stare perché dicono tanto sulla vera divinità di Gesù, sulla vera umanità del Figlio di Dio che è Gesù stesso. Sono parole antiche e universali. Sono presenti già poco dopo gli apostoli in sant’Ireneo di Lione, fine del secondo secolo, che pur pensava più volentieri alla vera carne del Figlio di Dio fatto uomo, e in Clemente di Alessandria (+ 215 circa) che invece preferiva pensare al Verbo eterno di Dio.

D’altra parte, la tentazione concettuale era ed è sempre di togliere in Cristo qualcosa della vera divinità o qualcosa della vera umanità. Insomma, che quel bambino, quel ragazzo, quell’uomo sia Dio e che Dio l’onnipotente – e si potrebbero elencare tutti quelli che si chiamano attributi divini – sia quell’uomo crocifisso è difficilmente digeribile dalla ragione umana: anzi, senza la fede non lo è affatto e non c’è né da scandalizzarsi né da meravigliarsi. Perché sennò, non sarebbe fede. Per gli antichi greci e romani, e probabilmente per i nostri padri etruschi, era facile pensare a un che di divino apparso come uomo in séguito ad una metamorfosi: il padre Giove ne avrebbe fatte tante di metamorfosi in torello, in cigno, in nuvola …, proprio con giovialità, per accomodare le sue scappatelle coniugali. Era facile anche pensare ad una apoteosi: Romolo, Cesare sarebbero divenuti stelle

La mentalità che riduce Cristo ad una delle tante figure divine non è solo storia o curiosità letteraria. Molte idee su Cristo ripetono in modo abbastanza monotono le antiche tendenze. Invece la frase che rammentavo è importante: Dio si è fatto uomo, perché l’uomo diventi Dio, con quel che ne deriva. Difatti, quando un certo Apollinare nella seconda metà del quarto secolo sosteneva che Gesù non aveva un intelletto umano, secondo lui, sostituito dal Verbo, Gregorio di Nazianzo, in risposta, formula ed elabora il principio che «nulla è salvato, se non ciò che è assunto e che solo ciò che è assunto è salvato». Che vuol dire? Vuol dire che se Dio ha preso la mia carne, ossia un corpo come il mio, c’è speranza che anch’io sia salvato da lui nel tempo e definitivamente nella risurrezione; se ha assunto un’anima come la mia, lo stesso nelle mie intimità più profonde. E si potrebbe continuare con parole meno filosofiche, ma più comuni e forse più vicine a quelle della Bibbia, come sensi e sentimento, cuore e cervello, pensiero e volontà, che sono la nostra pasta. E questa nostra pasta, la nostra umanità ha perciò la speranza, fondata sulla promessa di un Dio che si è fatto come me, di essere salvata nel senso non solo più pieno ed umano della parola. Se, appunto, Dio si è fatto uomo per natura, perché l’uomo diventi Dio per grazia.