La testimonianza del cosiddetto «crocifisso blasfemo».

palatinodi Carlo Nardi • Da riffe tra ragazzi. Nel 1856 in occasione di scavi archeologici sul Palatino, il colle romano su cui era costruito il palazzo dell’imperatore, precisamente in vani adibiti alla scuola o collegio dei paggi addetti alla corte, fu scoperto uno strano graffito, probabilmente del secondo o terzo secolo. Sull’intonaco era stata incisa una croce con la rappresentazione di un asino appeso a una croce. Sotto c’era una scritta in greco «Alessameno, venera il suo dio», un messaggio tutt’altro che benevolo nei confronti di Alessameno che adora un ciuco e per di più finito su una croce. Brutta parola, questa, che allora le persone perbene non rammentavano neppure. Sapeva troppo di rivolte di schiavi, di avanzi da galera. Insomma, di brutta morte. Non avesse a portar male?

E poi, vicino, si vide un altro graffito, telegrafico: «Alessameno fedele».

Gli storici si sbizzarrirono in ipotesi, talora in fantasie da romanzo storico, anche pregevoli come l’immaginario del Pascoli. Egli pensò a una lite per futili motivi tra due ragazzi in quella particolare scuola: uno di nome Alessameno e uno pagano, e da una ripicca si doveva essere passati all’offesa alla religione di uno dei due, Alessameno appunto. È la rielaborazione poetica, accattivante e commovente, peraltro più che possibile, questa del Pascoli in un suo poemetto latino, il Paedagogium, La scuola dei paggi.

Archeologi e filologi devono essere sobri nel sentenziare. Tuttavia, un dileggio ci dovette essere: una pungente presa di giro. Alle spese di chi? C’era una croce e un asino. Ora, Tertulliano, scrittore cristiano della fine del secondo secolo, c’informa di una simile iscrizione: «Il dio dei cristiani», ossia il dio in cui credono i cristiani, «razza da ciuco». Si ricava un tale con orecchie d’asino e con una gamba che finisce in uno zoccolo, nonché con un libro in mano (Apologeticum 16,12; cf. Minucio Felice, 9). Ci sfugge perché c’entri l’asino. Forse la domenica delle Palme ci può dire qualcosa. Gesù, stando ai Vangeli, entra in Gerusalemme su quella cavalcatura (Mt 21,2.5.7; Mc 11,2.5; Lc 19,30.34; Gv 12, 14-15). Il riferimento a Gesù, considerato maestro, anzi ritenuto Dio, è evidente: i pagani ce l’avevano proprio con chi credeva in Gesù come a proprio maestro e Dio, con un cristiano come doveva essere il giovane Alessameno. E, quanto a rapporti umani, nei suoi confronti c’era un astio acido e cattivo.

Del resto, si era a Roma, anzi nella corte imperiale, nel secondo o terzo secolo. Bastava poco ai pagani per rovesciare accuse pesanti e compromettenti ai cristiani, pagani a cui rispondevano i cristiani ora con tratti di schietta carità evangelica, come nelle parole di Perpetua cristiana al padre suo pagano (sua Passione 3.5.6), ora, poco dopo il 313, con uno scritto revanscista di Lattanzio, Le morti, le male morti dei persecutori.

E come rispose Alessameno? Se sono suoi gli altri graffi sul muro, ed è assai verosimile, risponde con poche sentite parole: «Alessameno fedele», che vuol dire credente, battezzato, cristiano.

Come andò a finire la faccenda? Vorremmo saperne di più. Ma una scritta su un muro è un’istantanea, come del resto sono le parabole del Vangelo. Bastano così come sono. E se quelle parole sono di Alessameno, il ragazzo ci ha già detto abbastanza.