Nel titolo ho voluto un po’ giocare con lo spettro semantico del termine “cristo”. Con la diffusa espressione popolare “poveri cristi”, che coniuga le tribolazioni umane con le sofferenze patite da nostro Signore, ho infatti inteso definire – si spera con qualche fondamento teologico (cfr. Mt 25,31-46) – gli ultimi, le vittime della povertà, delle ingiustizie, delle catastrofi ambientali e delle guerre, che nel mondo vanno purtroppo aumentando di giorno in giorno. Con “cristi ricchi”, ricalcando l’etimologica veterotestamentaria del termine che designava un unto del Signore, investito di una missione messianica, ho voluto alludere invece, ironicamente, a coloro che avendo avuto accesso al potere grazie alla propria ricchezza, o avendo accumulato ricchezza grazie al proprio potere, si arrogano compiti “messianici” che, alquanto paradossalmente, ritengono coincidere coi loro interessi. Mi riferisco ai cosiddetti tycoons (termine anglosassone derivato dal giapponese taikun, composto delle voci ta «grande» e chun «dominatore»), come si usa dire oggi, allorquando sostengono – in buona o in mala fede, chissà? – di essere stati chiamati, da Dio o da chi per lui, a raddrizzare le sorti della storia. Normalmente, e in particolare nella presente congiuntura storica, i “cristi ricchi” tendono a perseguire, con ogni mezzo, i loro interessi, diventando sempre più ricchi, a discapito dei “poveri cristi” che diventano sempre più poveri.
Penso, evidentemente, in particolare a quanto sta avvenendo negli USA, senza peraltro voler dimenticare che ciò che è già da tempo avvenuto in Russia e non solo. «La mia vita è stata salvata da Dio – ha detto [Donald Trump] riferendosi all’attentato subito l’estate scorsa – perché possa rendere l’America di nuovo grande» (https://www.avvenire.it/mondo/pagine/trump-ridisegnera-subito-il-mappamondo-mai-un-ter ). Pare sottinteso che un’America di nuovo grande comporterà, alla fine, il bene dell’umanità intera, seppur con “qualche” invitabile “danno collaterale”. Si potrebbe essere tentati di liquidare l’autoproclamato “messianismo” del neopresidente USA e le molte altre sconcertanti esternazioni che ne sono seguite come la risposta che un soggetto con doti demagogiche non comuni (ma forse affetto da un forte disturbo narcisistico della personalità) è riuscito a dare alle frustrazioni di una nazione, azzeccando le corde del cuore e della pancia dell’America profonda. In realtà, il fenomeno Trump pare piuttosto la punta dell’iceberg di una realtà ancora più inquietante.
Massimo Gaggi, in un articolo apparso sul Corriere della Sera. La Lettura del 23 febbraio 2025, a p. 44, definisce icasticamente coloro che hanno orchestrato il fenomeno in questione come «la confraternita dei tecnomistici» (https://www.pressreader.com/italy/corriere-della-sera-la-lettura/20250223/282514369268432?srsltid=AfmBOooNsg-x5J6qWd4b1zvMwGaFpLcvbz0yMHkXfuqi5mVKgy2N1T1i). L’articolo è stato ripreso e commentato nella rubrica radiofonica Pagina 3 del 24 febbraio, da Paolo di Paolo che ha messo in luce l’originalità e l’efficacia del neologismo coniato da Gaggi (https://www.raiplaysound.it/audio/2025/02/Pagina-3-del-24022025-34ecadc7-a641-4c78-b05d-d10da7dfa741.html ).

Elon Musk
Chi sono i tecnomistici? Dietro la svolta radicale imposta da Trump all’America, e non solo all’America, ci sarebbe, secondo il giornalista del Corriere, una élite di tycoons. Sarebbero tre in particolare i macchinatori del nuovo corso USA: Peter Thiels, fra i fondatori di PayPal, fondatore di Palantir e creatore di Founders Fun; Eleon Musk, l’uomo più ricco del mondo, fondatore di SpaceX e di The Boring Company, cofondatore di Neuralink e OpenAI, amministratore delegato di Tesla, già proprietario e presidente di X; e Marc Andreessen, protagonista dell’alba dell’internet age, inventore del primo browser, Mosaic, e creatore di Netscape. Tutti coinvolti, seppur con diversi livelli di esposizione (Musk come frontman, almeno nella primissima fase della presidenza Trump, gli altri più come artefici dietro le quinte, con il collocamento di uomini di fiducia nelle posizioni più strategiche), nella vittoria di Trump e nelle deliberazioni che l’hanno seguita. Costoro, chi più teoreticamente (Thiel e Andreessen), chi più pragmatisticamente (Musk), avrebbero elaborato una visione coerente e funzionale ai loro obiettivi, «compreso quello di sdoganare un autoritarismo sostenuto dall’IA. Con venature religiose: tra Tolkien, lotta all’Anticristo e il cattolicesimo anti-Bergoglio di Vance» (Gaggi, La confraternita dei tecnomistici, p. 44). Si tratterebbe di «visionari temerari decisi a trasformare l’autoritarismo di Trump in tecnoautoritarismo sulla base di un bagaglio ideologico fondato su un terreno di riferimenti filosofici e culturali a dir poco magmatico». Da questo magma emergerebbe, però, alla fine, una linea in gran parte comune. La rivoluzione dell’IA, cambiando in profondità le dinamiche sociali e politiche, ma anche quelle della giustizia, avrebbe ormai reso obsoleta «la separazione dei tre poteri – esecutivo, legislativo e giudiziario – alla base delle democrazie liberali». Il parlamentarismo risulterebbe ormai soltanto «un vecchio arnese reso anacronistico dalla velocità dell’era digitale». L’obiettivo sarebbe pertanto quello di una struttura statale ridotta ai minimi termini, leggera, meno costosa, che lasci «libertà assoluta agli innovatori riducendo il perimetro dell’intervento pubblico e sostituendo sempre più l’uomo con l’intelligenza artificiale nella gestione di ogni funzione» (ibid.).
Il bagaglio ideologico dei «tecno-sostenitori» di Trump si baserebbe, secondo Gaggi, «su un magmatico spettro di riferimenti filosofici che comprende il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche (1844-1900) con la sua critica alle fondamenta della cultura occidentale; Vilfredo Pareto, economista e sociologo italiano nato a Parigi (1848-1923), tra i teorici della corrente filosofica dell’elitismo secondo cui il potere politico è sempre in mano a una minoranza che governa l’intera società; lo scrittore britannico J.R.R. Tolkien (1892-1973) con la saga fantasy del Signore degli anelli che la destra, anche in Italia, ha fatto sua; Douglas Adams (1952-2001), autore del bestseller Guida galattica per gli autostoppisti (1978) in cui i temi della fantascienza surreale s’intrecciano a spunti di riflessione filosofica». Molti di questi elementi, nota Gaggi, ricorrono nel saggio autopubblicato The Techno-Optimist Manifesto nel 2023 da Marc Andreessen (https://a16z.com/the-techno-optimist-manifesto/ ): una sorta di «chiamata alle armi contro i nemici che frenano la velocità del progresso tecnologico, unica speranza per il futuro dell’umanità: la burocrazia, sinonimo di statalismo corrotto, gli intellettuali chiusi nelle torri d’avorio, i cartelli, il socialismo, le teorie astratte (tipo l’ambientalismo) disconnesse dalla realtà che non portano da nessuna parte e intanto frenano lo sviluppo» (Gaggi, La confraternita dei tecnomistici, p. 44). È interessante osservare come la rivista The Atlantic a proposito del Techno-Optimist Manifesto abbia parlato di tecno-autoritarismo (A. LaFrance, The Rise of Techno-authoritarianism, in The Atlantic, 30 gen. 2024: https://www.theatlantic.com/magazine/archive/2024/03/facebook-meta-silicon-valley-politics/677168/ ) e come il New York Times abbia parlato di «futurismo reazionario» (E. Klein, The Chief Ideologist of the Silicon Valley Elite Has Some Strange Ideas, in The New York Times, 26 ott. 2023: https://www.nytimes.com/2023/10/26/opinion/marc-andreessen-reactionary-futurism.html ). In effetti, il saggio di Andreessen annovera, fra i «santi patroni» (sic!: https://a16z.com/the-techno-optimist-manifesto/) del tecno-ottimismo Nietzsche e Pareto, e approda all’accelerazionismo estremo di Nick Land, con espliciti rimandi al «manifesto futurista di Filippo Tommaso Marinetti del 1909 poi fonte d’ispirazione per il fascismo» (Gaggi, La confraternita dei tecnomistici, p. 44)
Rodolfo De Mattei, in un articolo intitolato Stati Uniti: la lobby transumanista al potere? (in Corrispondenza Romana del 22 Gennaio 2025: https://www.corrispondenzaromana.it/stati-uniti-la-lobby-transumanista-al-potere/), ricollegandosi a precedenti analisi di Gaggi (https://www.corriere.it/economia/aziende/25_gennaio_20/big-tech-trump-8a78fc9a-1e54-46a0-b531-137dd285cxlk.shtml ), coglie, con toni allarmistici, un rapporto fra le idee di Andreessen, ma anche di Musk e Thiel, e le teorie del movimento transumanista, in particolare; ma, più in generale, «del “pensiero” cosiddetto TESCREAL, un bizzarro acronimo che racchiude le iniziali delle sue principali “filosofie” ispiratrici, ossia: transhumanism, extropianism, singularitarianism, cosmism, rationalism, effective altruism e longtermism», un’insalata mista di “ismi” che, a tutta prima, paiono collidere tra loro. L’obiettivo utopico di lungo termine, sotteso da questo pensiero, sarebbe «l’instaurazione di un governo illuminato che rimpiazzi i politici con gli ingegneri e dia vita […] ad una tecnocrazia transumanista fondata su una incrollabile fede nella scienza, per portare infine alla creazione di una nuova civiltà umana multi planetaria» (De Mattei, Stati Uniti: la lobby transumanista al potere?). Quasi una nuova religione – verrebbe da dire – di cui si potrebbero rinvenire i miti fondativi nella letteratura fantascientifica.
Ma in questo magma – ed è questo, a mio avviso, uno degli aspetti più inquietanti di tutto il quadro – c’è posto anche per un’attenzione alla tradizione cristiana, e persino per un’attenzione ai valori cattolici, con cui flirtare.

Peter Thiel
Peter Thiel, che nel 2009 aveva espresso la sua posizione essenzialmente libertaria in un saggio dal titolo The Education of a Libertarian, recentemente, sulla scia di René Girard, che fu suo maestro alla Standford, sosterebbe di parlare da cristiano e ostenterebbe uno strano misticismo di tono apocalittico (cfr. E. Goldberg, Seeking God, Or Peter Thiel, In Silicon Valley, in New York Times, 11 febbraio 2025: https://www.nytimes.com/2025/02/11/business/silicon-valley-christianity.html ). Come segnala ancora Gaggi: «va in giro per l’America tenendo conferenze nelle quali denuncia i pericoli di un Anticristo che, dice, potrebbe non essere una persona fisica ma un movimento (la cultura woke o i globalizzatori di Davos)». Un certo cristianesimo conservatore, che si sta diffondendo nella Silicon Valley, farebbe «capolino anche nei discorsi di un Musk fin qui agnostico». Intanto, il vicepresidente Vance – che, detto per inciso, deve tutta la sua fortuna politica proprio a Thiel e alla sua capacità persuasiva nei confronti di Trump – «si è convertito qualche anno fa al cattolicesimo, ma dichiarandosi fedele di una “Chiesa della resistenza” ostile al papato progressista di Jorge Mario Bergoglio» (Gaggi, La confraternita, p. 44).
Come si colloca il cattolico Vance in rapporto al magmatico pensiero di Thiel? Nel discorso alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, pronunciato il 16 febbraio 2025, Vance ha sostanzialmente accusato l’Europa di aver abbandonato e tradito i propri valori fondanti e fondamentali dimostrando di temere i processi democratici, dei quali egli ha difeso il valore, citando fra l’altro, fuori contesto, il papa Giovanni Paolo II (https://www.ilmantellodellagiustizia.it/2025/prima-di-citare-san-giovanni-paolo-ii-per-favore-sciacquatevi-la-bocca-a-proposito-del-discorso-di-j-d-vance-alla-conferenza-sulla-sicurezza-di-monaco). Ma proprio la bontà di questi processi era stata radicalmente messa in questione da Thiel nel suo saggio del 2009, nel quale affermava: «non credo più che democrazie e libertà siano compatibili» (https://www.cato-unbound.org/2009/04/13/peter-thiel/education-libertarian/ ).
«Il vicepresidente degli Stati Uniti non ha mai spiegato pubblicamente quanto condivida esattamente la visione del mondo di Thiel, ma non ha neanche mai nascosto la propria stima nei suoi confronti», osserva ancora il cattolico conservatore Rodolfo De Mattei, in un altro articolo apparso su Corrispondenza romana; e conclude: «la nuova amministrazione di Washington risulta connessa e influenzata, secondo le parole dello stesso Vance, da “molte strane sottoculture di destra”, spesso in contraddizione tra loro, che vanno dall’accelerazionismo al tecnoutopismo, dal misticisimo, all’occultismo, fino al post-umano. In questo senso, la “nuova destra” americana rischia di essere vittima di un pericoloso mix di ideologie, in ultima analisi nichiliste» (R. De Mattei, La “nuova destra” americana e l’“Illuminismo oscuro”, in Corrispondenza romana, 19 mar. 2025: https://www.corrispondenzaromana.it/la-nuova-destra-americana-e-l-illuminismo-oscuro/).
De Mattei ritiene che per la genesi e lo sviluppo di questo pensiero ibrido sia da considerarsi come determinante, oltre che il pensiero di Thiel, anche quello di Nick Land, cofondatore negli anni Novanta del collettivo Cybernetic Culture Research Unit (CCRU), e quello del programmatore informatico e blogger statunitense Curtis Guy Yarvin, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Mencius Moldbug. «Nick Land, ha esposto il suo pensiero in un libro-manifesto intitolato Illuminismo oscuro (GOG Edizioni, 2021) nel quale, citando ampiamente il pensiero di Moldbug, teorizza l’avvento di un distopico nuovo mondo dominato dalle macchine, figlio della vittoria del progresso tecnologico e dello sviluppo capitalistico. Secondo il credo “accelerazionista”, di cui Nick Land è considerato uno dei principali ideologi, non è possibile “resistere” a tale ineluttabile processo e per questo l’unica soluzione è quella di accelerare per andare ancora oltre e arrivare alla cosiddetta “singolarità tecnologica”» (De Mattei, La “nuova destra”).
Più che di tecno-mistici, si sarebbe tentati di parlare di tecno-mistificatori. Anche per questa ragione ritengo che sia assolutamente urgente che queste problematiche, in particolare quelle inerenti all’intelligenza artificiale, siano studiate a fondo, in modo critico e scientifico, nell’ambito della teologia, come strutture oppressive, di dominio culturale e di ostacolo al cammino di pace e di promozione della famiglia umana, secondo la metodologia lucidamente indicata da Enrico Chiavacci già alla fine degli anni ’80 del secolo scorso (E. Chiavacci, Teologia morale 3/2: Morale della vita economica, politica e di comunicazione, Assisi 1990, pp. 115-121).
Concludo aprendo una questione che non possiamo, certo, chiudere qui e che concerne l’istanza etica, o algoretica (secondo il noto neologismo di Paolo Benanti), di una regolamentazione giuridica dell’intelligenza artificiale finalizzata ad arginarne i possibili rischi per il futuro dell’umanità.
Si può, ragionevolmente, auspicare una regolamentazione dell’IA, quando i suoi principali creatori, sviluppatori e ideologi, in grado di manipolare i poteri politici, si dimostrano, nella teoria e nei fatti, affatto contrari alle regolamentazioni?
Spes contra spem.