Guerra alla Terra: l’ambiente vittima degli armamenti.

259 194 Carlo Parenti
  • 0

Il contributo di papa Francesco nel condannare i conflitti e le spese militari nonché gli accorati appelli per la salvaguardia del creato è ben noto. Sicuramente è la persona che più ha avuto a cuore nel mondo questi temi. Tanto più attuali nel contesto della corsa forsennata al “riarmo”.

Voglio qui affrontare un tema che i mezzi di comunicazione, salve pochissime eccezioni, di fatto non hanno affrontato o, peggio, hanno taciuto il rapporto tra armamenti, guerre e danni all’ambiente. Scrive Francesco Bilotta:«La crisi climatica ed ecologica hanno alla base l’elevata quantità di gas serra che vengono prodotti a livello mondiale. Le attività militari sono tra i fattori che incidono maggiormente sull’ambiente, sia in tempo di pace che di guerra. Per contrastare il cambiamento climatico uno degli obiettivi era quello di ridurre le spese militari. I venti di guerra che spirano sempre più forti e la corsa al riarmo stanno portando nella direzione opposta. I piani di riarmo che stanno coinvolgendo tutti i paesi mettono in discussione tutti i progetti di decarbonizzazione. L’economia di guerra si basa sulle fonti fossili e gli obiettivi che prevedono di dimezzare entro il 2030 le emissioni di gas serra e la neutralità carbonica entro il 2050 rischiano di rimanere sulla carta. L’accelerazione della militarizzazione produrrà, inevitabilmente, due effetti: un aumento dei rischi di conflitto e la sottrazione di risorse al settore sociale (sanità, istruzione, previdenza) e della transizione ecologica. L’armamento militare anche quando non viene usato ha un elevato impatto ambientale. L’aumento delle spese militari si traduce in un aumento dei gas serra in relazione alla produzione di mezzi militari e armi, la loro manutenzione, le esercitazioni militari».

Alcuni dati:

Gli eserciti di Stati Uniti, Russia e Cina emettono quantità di gas serra superiori a quelli di molti paesi. Secondo il “Climate and Community Project”, le forze armate di Stati Uniti e Regno Unito hanno prodotto dal 2015 al 2023 almeno 430 milioni di tonnellate di CO2. In particolare, il Pentagono, la più grande organizzazione militare, impiega ogni anno più di 82 milioni di barili di petrolio, pari al consumo annuo di paesi come il Portogallo o la Finlandia. In uno dei molti rapporti del “Conflict and Environment Observatory” pubblicati ad oggi sull’Ucraina, si calcolava che solo nei primi 18 mesi di guerra in Ucraina erano stati immessi nell’atmosfera più di 150 milioni di tonnellate di CO2 e di altri gas serra, pari a quelle del Belgio. A tacere dei danni geomorfologici e della perdita di geodiversità.

Per Amitav Ghosh, uno dei più grandi scrittori indiani, che si batte contro le cause del cambiamento climatico:«Una portaerei non nucleare consuma 21.278

               Amitav Ghosh

litri di carburante all’ora; in altre parole, queste navi bruciano in un solo giorno il fabbisogno annuo di carburante di una cittadina del Midwest. Ma un solo caccia F-16 consuma in un’ora un terzo di tale quantità, circa 6.500 litri. (…) L’aviazione statunitense possiede un migliaio di F-16, e non sono che una piccola parte della loro flotta aerea».

Se l’energia fossile inquina, l’inquinamento ambientale aumenta a dismisura quando nei conflitti la parola passa ai cannoni. Si pensi, solo ad esempio alla guerre in Vietnam, Congo, Sudan e alla distruzione pressoché globale di Gaza con il carico poi di morti innocenti mai visti prima (papa Francesco: «A Gaza non è guerra ma crudeltà» e «A Gaza situazione umanitaria drammatica e ignobile».

Si consideri poi che guerre e disastri climatici hanno triplicato il numero dei profughi all’interno dell’Africa negli ultimi 15 anni, secondo l’ “Internal Displacement Monitoring Centre”: un cane che si morde la coda. Le guerre sono in cima alla lista della responsabilità dello spostamento, spesso fuga vera e propria, di 32,5 milioni di persone sfollate il cui 80% proviene da soli cinque paesi: Repubblica Democratica del Congo, Etiopia, Nigeria, Somalia e Sudan.

Osserva Antonino Prizzi:«In molte società in disgregazione in cui i disagi socio-economici, la disuguaglianza, l’incertezza e la paura – veri o percepiti – abbondano, il motore socio-economico e politico diventa lentamente quasi solo quello militare». Penso anche all’Europa e al riarmo, specie quello enorme tedesco. Del resto, è noto: la spesa militare, che nel mondo lo scorso anno ha superato i 2.500 miliardi, è una leva di sviluppo del PIL. Purtroppo, secondo il nuovo rapporto del SIPRI (“Stockholm International Peace Research Institute”), oltre 100 Paesi hanno aumentato il loro budget militare, portando il carico globale al 2,5% del PIL mondiale. Invece per il rapporto annuale di “Climate Policy Initiative”, gli investimenti primari per la lotta al cambiamento climatico rappresentano appena l’1% del Pil mondiale. Per un risultato minimo sarebbe necessario aumentare di 8 volte gli investimenti attuali.

Risuona il monito di Francesco:«È una storia antica come l’umanità: con la pace si guadagna sempre, forse poco ma si guadagna, con la guerra si perde tutto. Tutto! E i cosiddetti guadagni sono perdite».

image_pdfimage_print