Quattro parole possono essere capaci, non soltanto di riassumere in modo efficace l’insegnamento teologico e culturale di un grande pensatore, quale è stato Agostino d’Ippona, ma anche di esprimere in modo progettuale l’impegno e le priorità di un Pontificato. In illo uno unum: in questa brevissima frase appare per due volte il lemma “uno”, sia in riferimento a Cristo, sia in riferimento alla Chiesa e a tutto il genere umano. Una frase densa di significato, dunque, che vede coinvolte contemporaneamente: la cristologia, la trinitaria, l’ecclesiologia, l’antropologia teologica, la sacramentaria; ma anche la sociologia, la politica, l’economia.
Una densità di contenuti in quattro parole che soltanto un grande pensatore come Agostino d’Ippona poteva essere in grado di presentare, e che dopo secoli è ancora capace di offrire all’oggi della Chiesa un “metodo” di esperienza comunitaria tutto particolare.
La citazione di Agostino è ripresa dall’Esposizione sul Salmo 127, lì dove si parla di una moltitudine di uomini e di donne che, pur essendo numericamente tanti, sono e rimangono comunque “un uomo solo”, e cioè Cristo. Scrive Agostino: “Gli stessi cristiani insieme con il loro capo, che è ascese in cielo, sono l’unico Cristo: non lui un individuo singolo e noi una moltitudine, ma anche noi, moltitudine, (siamo) uno in lui che è uno” (“non ille unus et nos multi, sed et nos multi in illo uno unum”: Enarr. in Ps. 127.3).
Una frase concisa, si è già affermato, che porta in sé un pensiero profondo da tanti punti di vista. Quello su cui potremmo soffermarci è il “tipo” di unità che viene qui presentato in riferimento alla Chiesa. Un’unità che deve tenere conto di due aspetti fondamentali: in primo luogo si tratta di una comunione capace di raccogliere insieme una pluralità di persone distinte tra loro; in secondo luogo, il risultato di tale comunione è l’essere, non una cosa sola, ma un’unica persona, e cioè Cristo.
Vediamo più da vicino questi due aspetti. Prima di tutto si tratta di una comunione che accoglie e raccoglie le differenze di ogni uomo e donna, valorizzando le loro specificità. Cristo stesso è la visibilità di questo tipo di unità, dove il suo essere “uno” con il Padre non rappresenta una perdita della propria identità filiale; è proprio nell’essere uno col Padre che si manifesta pienamente il suo essere Figlio, totalmente distinto dal Padre. In questo tipo di unità, che trova in Cristo la sua condizione di possibilità, trova esistenza concreta l’unità della moltitudine di uomini e di donne: in illo uno unum. È proprio in Cristo, dunque, che si può realizzare un tipo di unità tale per cui i tanti possono ciascuno continuare a vivere pienamente la propria peculiare identità. Gesù è dunque colui che rivela e realizza un tipo di unità che non rappresenta il “contrario” della distinzione, ma anzi, ne è l’origine. Sul piano ecclesiale tale riflessione ha un’importanza decisiva, in quanto l’unità della Chiesa non annulla l’alterità e la distinzione al suo interno, come se essa fosse un luogo di omologazione.

Sant’Agostino
Il secondo aspetto centrale che si può individuare nella citazione di Agostino riguarda il risultato di coloro che vivono un’unità radicata in Dio: essi non sono “una cosa sola”, ma “una sola persona”, e cioè Cristo. Per comprendere questa affermazione, che rappresenta una peculiarità della riflessione ecclesiologica di Agostino, è bene recuperare un concetto-chiave del suo pensiero, e cioè il Christus totus. In un discorso l’Ipponate spiega come Cristo possa essere inteso in tre differenti modi: il primo è il suo essere Verbo eterno, prima dell’evento dell’incarnazione; il secondo, invece, è alla luce dell’assunzione della natura umana, in riferimento a tutto ciò che egli ha detto e fatto; “il terzo modo è quello, in un certo senso, del Cristo totale nella pienezza della Chiesa, cioè Capo e Corpo, secondo la pienezza di un uomo in certo modo perfetto, nel quale uomo i singoli sono membra” (Sermo 341.1.1). Non si tratta di confondere tra loro Cristo e la Chiesa, che sono e rimangono distinti, ma è l’affermazione secondo cui l’unità di tutti i cristiani (e, in loro, di tutta l’umanità) non è il risultato di uno sforzo umano o religioso, ma è un evento di grazia (e dunque dono di Dio) dove la differenza permane, viene valorizzata, e tutti sono Cristo stesso.
In questo orizzonte la Chiesa è chiamata a diventare sempre più se stessa, recuperando una soggettività che non ha paura di farsi luogo in cui Cristo stesso, nello Spirito, continua ad essere il protagonista; è soltanto di Lui che l’umanità ha davvero bisogno, come ha affermato papa Leone XIV sin dal suo primo saluto dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro, lo scorso 8 maggio: “Cristo ci precede. Il mondo ha bisogno della sua luce. L’umanità necessita di Lui come del ponte per essere raggiunta da Dio e dal suo amore”. Il protagonismo della Chiesa è chiamato a far emergere la centralità di Cristo: è Lui la luce delle genti (lumen gentium).