«Lo Spirito, che rende figli adottivi» (Rm 8)

189 266 Stefano Tarocchi
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«La legge dello Spirito, che dà vita in Cristo Gesù, ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte» (Rm 8,4). Con questo principio l’apostolo Paolo presenta la vita del cristiano dominata non dalla fragilità della sua condizione ma segnata dall’abitazione in ciascuno dei credenti dello spirito di Dio. E per questo che, aggiunge ancora l’apostolo, «non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi» (Rm 8,9).

Si tratta di una delle pagine più dense dell’insegnamento di Paolo e della stessa lettera ai Romani: «quelli che si lasciano dominare dalla carne non possono piacere a Dio. Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi. Così dunque, fratelli, noi siamo debitori non verso la carne, per vivere secondo i desideri carnali, perché, se vivete secondo la carne, morirete. Se, invece, mediante lo Spirito fate morire le opere del corpo, vivrete. Infatti, tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria».

Questo tratto dell’ultimo scritto dell’apostolo compendia in uno spazio relativamente breve la condizione del credente di fronte alla potenza della risurrezione di Cristo: «se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi» (Rm 8,11). Cristo è stato risuscitato per mezzo dello Spirito Santo, ed è il medesimo Spirito a donare alla fragilità, la “carne”, di ogni uomo soggetto alla morte, la potenza della risurrezione, e quindi la vita.

Tutto questo ha una conseguenza estremamente importante, che diviene anche un impegno per ogni credente: mettere a morte le opere del corpo, cioè tutto quello che impedisce che la potenza divina agisca dentro ognuno di noi. Pertanto, «tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio» (Rm 8,13). «Avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: «Abbà! Padre!» (Rm 8,15). Paolo aggiunge anche la realtà della nuova condizione di erede per il credente, che condivide la sofferenza del Cristo per raggiungere e partecipare alla sua gloria.

Ora, la creazione intera è stata sottomessa alla caducità in vista di una liberazione dalla sua corruzione. Paolo aggiunge anche una splendida immagine, purtroppo omessa dalla lettura assegnata al giorno di Pentecoste, che di fatto elimina uno dei passaggi più significativi del testo e lo rende quindi incomprensibile: «tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi» (Rm 8,22). È qui che l’apostolo si sofferma anche su uno degli aspetti più sensibili della condizione umana, quello stato di debolezza del credente nel rivolgersi a Dio, a cui viene incontro ancora una volta lo stesso Spirito: se «non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente», lo «Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili» (Rm 8,26).

Potremmo così riassumere: «lo Spirito non fa che dare forma alla nostra preghiera, trasformando i nostri flebili gemiti e balbettamenti in una invocazione effettiva e sensata, oppure suscitando una preghiera indecifrabile». La Terza Persona divina «paradossalmente geme in noi e con noi, pienamente coinvolto nella nostra sofferenza, quasi fosse il primo cantore in un coro che coincide con il cosmo intero in stato di sofferenza». Pertanto, «quando non troviamo le parole con cui esprimere la nostra preghiera e non possiamo fare di meglio che emettere suoni inarticolati, lo Spirito assume questi suoni e li trasforma in una vera intercessione» (Penna).

In conclusione, «si tratta di un incoraggiamento per tutti noi che troviamo difficile pregare: poiché i credenti non conoscono adeguatamente la volontà di Dio, lo Spirito traduce i loro gemiti e li conforma alla volontà divina».

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Stefano Tarocchi

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