
Pietro e Giovanni corrono al sepolcro
Nella pagina che apre il capitolo 20 del Vangelo di Giovanni, che la liturgia prevede nella celebrazione del giorno di Pasqua, si legge come due discepoli e una discepola sono presenti nel luogo dove Gesù è stato sepolto. Così il Vangelo: «il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!”. Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti, non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti».
Non voglio ritornare su questa preziosa testimonianza che il Vangelo ci offre attraverso la presenza di Simon Pietro e dell’altro discepolo, «quello che Gesù amava», che presumibilmente indica colui che scrive questa pagina: Giovanni l’evangelista. Desidero invece approfondire quell’ultimo versetto del brano, che muove dalla fede di Giovanni («e vide e credette»): « non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti».
Che cosa significano queste parole circa l’“incomprensione della Scrittura”? A chi si riferisce questo plurale «non avevano ancora compreso»?
Alcuni autori pensano che questa incomprensione sia riservata a Simon Pietro e a Maria di Magdala, tanto che alcuni interpreti avevano pensato che i primi due a correre al sepolcro fossero esattamente loro due. Non è neanche percorribile l’interpretazione proposta da altri che

sembrano indicare il riferimento a un altro passo dei Vangeli in particolare il Vangelo di Luca: «sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» (Lc 24,44-46).
Ma è alquanto problematico che l’autore del quarto Vangelo, e colui che l’ha completato dopo la prima finale, aggiungendo il capitolo 21, abbiano avuto una conoscenza diretta dei tre Vangeli sinottici, e nello specifico dei tre annunci della passione (Mc 8,31; 9,31; 10,32-34 e paralleli). Può probabile pensare al riferimento paolino di 1 Cor 15,4: «fu risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture».
Si affacciano invece anche altri riferimenti nel vangelo di Giovanni, a cominciare dall’episodio dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme:«La grande folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme, prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele!” (cf. Sal 118,25-26). Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto: “Non temere, figlia di Sion! Ecco, il tuo re viene, seduto su un puledro d’asina” (cf. Zac 9,9-10). I suoi discepoli sul momento non compresero queste cose; ma, quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che di lui erano state scritte queste cose e che a lui essi le avevano fatte» (Gv 12,12-16). Oppure il riferimento al momento immediatamente precedente la morte: «dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete» (Gv 19,28; cf. Salmo 22,16).
Per questo il Brown parla espressamente di “teologia comunitaria”, ossia una di una coscienza comune che precede la scrittura dei passi evangelici e la alimenta dall’interno.
L’importanza di questo dettaglio si vede anche nell’espressione che viene usata da quello che sembra un vero e proprio commento dell’evangelista, rivolto ai suoi lettori, usando: «doveva risorgere dai morti».
È proprio questo che spiega il riferimento alle Scritture. Se queste ultime sono un riferimento all’azione divina, è esattamente il piano divino che emerge, che l’autore del Vangelo propone a quanti ancora oggi magari in maniera meccanica e distratta ascoltano quel racconto.
Qualcuno può pensare si tratti di una pia favola, riferita alla vittoria sulla morte del Cristo, ma tutti gli elementi che abbiamo, vocabolario compreso, concorrono nel fissare il nostro sguardo non solo al racconto nel suo insieme ma anche ai dettagli.
In altre parole, se nei primi discepolo la fede della risurrezione nasce dall’aver saputo ritrovare nei segni che vengono messi loro di fronte – per i discepoli la tomba vuota e l’incontro con il Risorto, per noi la loro testimonianza – la certezza che Dio agisce nella storia degli uomini, questa diventa storia di salvezza, come nelle parole di Gesù a Tommaso, nella manifestazione avvenuta otto giorni dopo la Pasqua: «Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!”» (Gv 20,29).