Negli ultimi due anni sono stato ( Giacomo Funghi, ndr) presidente diocesano del gruppo Fuci di Firenze, e adesso, avendo concluso il mio mandato, vorrei condividere alcune riflessioni che occuperanno l’articolo di questo mese e del prossimo.
Primi elementi formativi, la spiritualità dello studio
Sin da quando sono entrato nel gruppo, la Fuci è stata un posto unico in cui, organizzandoci tra ragazzi, fosse possibile esplorare le nostre curiosità, i nostri interessi spirituali, culturali e confrontarci tra di noi sempre seguiti e aiutati dal nostro assistente don Francesco.
Potrà sembrare una considerazione di poco conto, ma la particolarità di essere proprio noi ragazzi ad auto-organizzare la vita del gruppo, non solo ci attribuisce un forte anelito di libertà, ma anche responsabilità e ci fa nutrire fiducia sia nei confronti l’uno dell’altro, sia verso il nostro assistente, l’unico vero adulto tra noi.
Fin da piccoli, infatti, siamo abituati negli ambienti parrocchiali o oratoriani ad avere qualcun altro responsabile per noi. Ecco che diventare responsabili di se stessi, degli altri membri del gruppo e dell’andamento di quest’ultimo è la prima formazione che si riceve in Fuci.

Giancarlo Rastelli
Giancarlo Rastelli, che fu un cardiochirurgo, e prima un fucino, oggi servo di Dio, una volta scrisse: «Ho sempre pensato che la prima carità che l’ammalato deve avere dal medico è la carità della scienza». Anche se parlava da medico, questo è lo spirito dello studio che cerchiamo di tramandarci ogni generazione fucina che passa. La carità della scienza o anche la carità intellettuale, fare dello studio universitario una preghiera e riconoscervi una vocazione. Questo è lo spirito della Fuci, uno spirito curioso di chi deve mettersi in ricerca: di Dio prima di tutto con una formazione che sia di studio di Dio, teologica, e che, con lo studio della scienza, perfezioni se stesso per aiutare i concittadini e far progredire tutta la società. (cfr Lumen gentium).
Nonostante l’alto obbiettivo, c’è un secondo insegnamento che la Fuci fornisce, quello di poter sbagliare. Non ci si pensa, eppure è tanto importante. Il percorso in Fuci non è sempre semplice, a volte è faticoso e tra ragazzi ci capita di sbagliare, ci capita spesso di essere inesperti anche nelle più piccole cose, come organizzare una serata o un evento o prendere impegni al di là del percorso abitudinario. Ma ho scoperto che anche fare qualcosa in modo imperfetto è importante e persino cruciale, almeno finché il gruppo è capace di riflettere su ciò che è stato fatto e ripartire da lì per proporre idee e modalità nuove e alternative con lo sforzo suggeriteci da san Paolo di vagliare ogni cosa e tenere ciò che è buono. Il gruppo cresce finché è capace di fare autocritica e riconoscendo cosa non è andato o che poteva essere fatto in modo diverso impara a maturare. In questo senso, maturare sia come singoli sia imparando a vivere come gruppo è una formazione importante che spesso dimentichiamo.
Palestra di democrazia
“La Fuci è palestra di democrazia” ci piace ripetere e ce lo diciamo prima delle assemblee nazionali, ma cosa significa veramente? Non si tratta di organizzare assemblee e esprimere il proprio voto, non ha a che fare con il praticare una democratura. Vivendo la Fuci si comprende cosa significhi, ma forse non tutti gli sanno dare un nome e anch’io sono stato capace di dargli un nome solo dopo essere stato a Trieste alla cinquantesima settimana sociale dal titolo “Al cuore della democrazia”.
Credo di aver compreso che la democrazia nella società civile, come anche la sinodalità nella Chiesa, non sia una mera questione di strutture. Possiamo avere strutture democratiche, assemblee di gruppo, votazioni per scegliere i temi dell’anno, votazioni per eleggere presidenti e segretari e nonostante tutto non essere una democrazia.
Il cuore della democrazia sta nella partecipazione. «La democrazia è un modo per vivere meglio insieme». Esordiva il cardinale Zuppi a

Card. Matteo Zuppi
Trieste e così quindi deve essere la federazione: ognuno ha il dovere di apportare il proprio contributo con condivisioni, pensieri, studio, idee per far crescere e maturare il gruppo e la federazione. Una palestra dell’articolo 4 della Costituzione. Molto potrei dire ma mi fermerò solo all’esperienza più alta di democrazia che abbiamo in federazione.
Non abbiamo sussidi che ci arrivano di anno in anno, i temi di cui discutiamo non sono scelti da educatori o formatori esterni o da estranei. Ogni anno ogni gruppo d’Italia può portare delle proposte, delle mozioni d’indirizzo. Il compito è arduo, complesso e per topi da biblioteca. L’idea è di partire da una semplice curiosità di un fucino, una cosa detta a lezione da un professore, una tematica che sta particolarmente a cuore, un elemento di attualità, un passo della Bibbia, un pensiero filosofico che ronza nella mente, e da lì scrivere un testo in cui proporre di trattare quel tema sviluppandolo nei tre ambiti: teologico-spirituale, universitario, sociopolitico. Quella che può essere una semplice curiosità viene espansa il più possibile dalla teologia alla politica passando per la vita universitaria. Spesso fucini e fucine si trovano a dover scrivere mozioni su temi di cui sono curiosi ma che non conoscono e da lì parte la fatica di doversi leggere qualcosa, studicchiare un po’ e citare encicliche pur di arrivare a scrivere la mozione d’indirizzo. Già la curiosità che viene impiegata ogni anno e la fatica nello scrivere il documento è un ulteriore elemento di formazione.
Tutte le mozioni d’indirizzo vengono poi presentate, discusse e votate al congresso nazionale. Ogni anno ci prendiamo l’impegno di confrontarci, discutere, dibattere dei temi di cui vogliamo parlare: è un movimento dal basso che raccoglie tutto ciò che sta a cuore dagli studenti di tutta Italia. Alla fine vengono approvate quattro mozioni, di cui una diventa il tema degli eventi nazionali, tra tutti, la settimana teologica di Camaldoli. Tornati a casa, ogni gruppo può liberamente scegliere quali temi trattare nell’anno successivo, anche al di fuori dei temi delle mozioni, ma spesso si predilige scegliere qualcosa tra le quattro mozioni approvate in quanto frutto del lavoro di alcuni gruppi e figlie del dibattito assembleare, oltre che risultato di sensibilità contingenti.
Questo è il nostro cuore della democrazia: che anche il più piccolo gruppo d’Italia possa portare la mozione d’indirizzo più interessante di tutte e determinare così la vita e la formazione di tutti gli altri gruppi d’Italia. La democrazia, spiegavano a Trieste, consiste nella speranza di poter contribuire alla vita degli altri, che il proprio impegno per gli altri abbia un significato. Per questo l’essere palestra di democrazia è l’elemento formativo più alto di cui cerchiamo di fare esperienza, di cui cerchiamo di essere partecipi.
Tuttavia, sappiamo di vivere nell’era della crisi della democrazia e la federazione ha adesso un grande e importante compito educativo. Spesso capita che le discussioni e i confronti siano pochi, che il grande moto che dovrebbe animarci nel discutere quali mozioni d’indirizzo scegliere, manchi. A volte, dei ragazzi che vengono a vedere le attività dei gruppi non ne restano attratti perché come spaventati dal fatto di avere una parte del percorso che è sociopolitica, nonostante non si affronti questa parte nel senso partitico della parola ma nella riflessione di un agire per il bene comune che non riguarda i partiti. La federazione ha allora un grande compito, rieducarci al confronto politico, far comprendere che le decisioni dei singoli sulla scena pubblica sono scelte di tutti, che la soluzione alle grandi questioni che stanno smuovendo il mondo in questi anni sta nella fraternità tanto invocata da papa Francesco. Perché i laureati di domani, coloro con la più alta formazione nella scienza e con spirito di ricerca, possano trovare modalità per testimoniare e rendere pratici gli insegnamenti della dottrina sociale.
Siamo servi inutili
«Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”» (Lc 17, 10). Essere servi inutili è qualcosa che non avevo ancora compreso quando ho iniziato il mio mandato, ma strada facendo mi si è fatto più chiaro. In questi due anni ho scoperto che avere la responsabilità di un gruppo a volte si accompagna o si trasforma in una forma di orgoglio. Poiché spesso capita che l’organizzazione e la gestione di un gruppo costi tempo e fatica, un’ostentazione dei propri sforzi sovrasta lo spirito di servizio.
Accade in maniera inconsapevole, accade per inesperienza, ma anche da questo impariamo qualcosa. Servire può essere faticoso e non è un’attività che va in profitto. Il salario del proprio lavoro è il buon andamento del gruppo, sapere che ognuno si senta accolto e che trovi dei buoni compagni di viaggio, non c’è una ricompensa per l’essere stati presidenti. Il buon andamento del gruppo, poi, per buona parte può non dipendere nemmeno dai presidenti, anzi, direi che la maggior parte delle buone dinamiche e attività di un gruppo dipendono dalle relazioni tra i membri stessi del gruppo, cosa che è fuori dal controllo dei presidenti. L’unica forma di orgoglio consentita deve essere quella che porta ogni membro del gruppo a sentirsi fiero del percorso fatto durante gli anni. In fin dei conti, essi hanno controllo, o dovrebbero avere controllo, veramente su poco e il perché lo spiegherò meglio nell’articolo del prossimo mese parlando del ruolo educativo. I presidenti devono impegnarsi a essere servi inutili.