Sinodalità e primato dell’evangelizzazione. Il contributo di Papa Francesco

750 500 Alessandro Clemenzia
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A pochi giorni dalla morte di Papa Francesco riaffiorano in molte interviste alcuni temi su cui, soprattutto teologi ed ecclesiologi, hanno speso fiumi di parole in questi anni per offrire alla riflessione odierna un proprio contributo. Un concetto “chiave” in questo pontificato è stato certamente la sinodalità: luogo di incontro e, talvolta, anche di scontro tra diverse interpretazioni e linee di pensiero.

Nei numerosi interventi di Papa Francesco, possiamo notare diversi modi di intendere la sinodalità: come una ri-strutturazione degli organismi ecclesiali e, più che altro, come uno “stile” di vita della comunità cristiana, il camminare insieme di tutto il Popolo di Dio, costantemente chiamato a mettersi in ascolto dello Spirito Santo per vivere e comunicare la fede nel mondo di oggi. Questi significati, per quanto diversi possano essere, non sono in contraddizione tra loro.

Papa Francesco, inoltre, ha offerto un prezioso suggerimento in ordine al metodo sinodale: egli, infatti, incoraggia non solo a guardare il fine verso cui si è orientati, ma anche a concentrarsi su come questo fine possa essere raggiunto. Non si tratta di proclamare una nuova dottrina, ma di trovare nuove forme per comunicare in modo più efficace la propria esperienza di fede all’umanità di oggi. La sinodalità, dunque, trova il suo senso unicamente se colto in connessione intima con l’evangelizzazione: il Popolo di Dio, camminando dietro all’unico Maestro e mettendo in atto un’autentica comunione tra le diverse vocazioni ecclesiali, genera quella forza centrifuga capace di spingere tutti i battezzati a diventare testimoni di fede; in questo orizzonte possiamo comprendere parole come “Chiesa in uscita”, “spinta missionaria”, “Chiesa capace di abitare le periferie esistenziali”, etc.

La sinodalità, dunque, è soprattutto una spinta missionaria della Chiesa. Francesco in Evangelii gaudium ha affermato: «L’attività missionaria “rappresenta, ancor oggi, la massima sfida per la Chiesa” e “la causa missionaria deve essere la prima”. Che cosa succederebbe se prendessimo realmente sul serio queste parole? Semplicemente riconosceremmo che l’azione missionaria è il paradigma di ogni opera della Chiesa» (Eg 15).

Si evince da questa affermazione come l’azione missionaria sia la “massima sfida” e il “paradigma” di ogni opera della Chiesa, e dunque è ciò che costituisce e caratterizza l’identità ecclesiale. La Chiesa è sempre stata missionaria, anche se, lungo i secoli, non si è soffermata in modo consapevole su questa esperienza.

Papa Francesco si è così inserito nel solco tracciato dal Concilio Vaticano II, dove si è presa una maggiore consapevolezza, sia del fatto che il “soggetto” della missione sia l’intero popolo di Dio, sia che il mondo è lo specchio attraverso il quale la Chiesa può acquisire una nuova coscienza di se stessa. La comunità cristiana, infatti, è chiamata a riconoscersi, tanto in relazione al mondo in cui è inserita, quanto maggiormente in relazione a Cristo: è in Lui che il soggetto ecclesiale è reso capace di avere uno sguardo critico e profetico verso tutto ciò che può contraddire la realizzazione di un’umanità nuova.

L’evangelizzazione, dunque, non è una delle tante attività ecclesiali, che si possono fare o non fare, ma è l’atto missionario per eccellenza, capace di dare avvio a nuove forme relazionali. Unicamente all’interno di questo orizzonte missionario possiamo valorizzare il significato di sinodalità, per evitare di interpretare la Chiesa sotto un profilo unicamente sociologico, come se si trattasse di una qualsiasi aggregazione religiosa.

La realtà ecclesiale è in se stessa esperienza di comunione. Non mancano oggi alcune strutture nella Chiesa (pensiamo anche soltanto al Copae, al Consiglio pastorale parrocchiale o diocesano, al Consiglio presbiterale) in cui persone di diversa vocazione sono chiamate a incontrarsi e a dialogare tra loro, a interagire su determinate tematiche che riguardano (in generale) il bene della Chiesa; si tratta di vere e proprie strutture “sinodali”. Eppure esse talvolta si presentano inefficaci. E qui si va incontro a un paradosso: il desiderio di avviare una riforma di Chiesa che faccia nascere nuove strutture sinodali, quando ancora alcune di esse già esistenti non funzionano, o almeno non si presentano come una risposta a quel “desiderio di sinodalità” che alberga nel cuore di molti credenti. Ma allora, verso dove orientarsi? Rinnovando ciò che già esiste o proponendo qualcosa di radicalmente nuovo? Nonostante si senta molto forte il desiderio di una maggiore ed efficace partecipazione attiva di tutti i fedeli alla vita della Chiesa, rimane così ancora aperta una domanda: come attuare tutto questo?

Papa Francesco ha certamente avviato un processo di rinnovamento nella Chiesa, “agitando” le acque della teologia, e in particolare dell’ecclesiologia. Sta adesso al futuro Vescovo di Roma e a tutto il collegio episcopale riconoscere la strada migliore per inverare questo dinamismo comunitario, valorizzando tutto ciò che possa favorire la comunione intraecclesiale come luogo di irradiazione di una nuova spinta missionaria.

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