Le persecuzioni dei copti in Egitto raccontate da Patrick Zaki, in carcere da 22 mesi per le sue denunce.

di Carlo Parenti · È nota la vicenda dell’attivista egiziano, studente a Bologna, Patrick George Zaki, che si trova dall’8 febbraio 2020 in detenzione preventiva. 22 mesi di crudeltà e sofferenza. Il suo processo è stato rinviato al 7 dicembre per permettere agli avvocati di studiare l’atto di accusa. La sua colpa: qualche critica al regime che è responsabile dell’efferata uccisione di un altro giovane ricercatore, Giulio Regeni. Su Daraj Media, una piattaforma di notizie panaraba (vedi) è stato pubblicato uno degli articoli costati a Zaki l’incriminazione.

Ne hanno dato notizia il 14 settembre scorso i principali giornali italiani, tra cui Corriere e Repubblica. Nel sito della Coalizione Italiana per le Libertà e i Diritti civili (CILD) il testo completo (vedi).

L’articolo ha per oggetto le persecuzioni cui sono sottoposti i copti nell’Egitto mussulmano. Ne traggo alcuni passaggi dalle traduzioni dei citati organi di stampa. È una narrazione di alcune vicende quotidiane di discriminatorie con osservazioni di semplice buon senso da parte di Patrick che però il regime evidentemente non tollera.

Non passa un mese senza che vi siano episodi contro i copti egiziani, da tentativi di spostarli in Alto Egitto a rapimenti, chiusure di chiese o attentati dinamitardi o l’uccisione di un cristiano che viene sempre definito una persona mentalmente disturbata. Questo scritto è un semplice tentativo di monitorare gli eventi di una settimana dai Diari dei cristiani di Egitto; una settimana è sufficiente per rendersi conto delle prove terribili a cui sono sottoposti…

IL MARTIRE CRISTIANO

Nel primo giorno della festività musulmana di Id al-Fitr l’Egitto è stato testimone di un attentato terroristico, che è costato la vita a quattordici membri delle forze di sicurezza egiziane. Visto che quando è stato fatto l’elenco delle vittime non c’era il nome di nessun soldato cristiano, siamo rimasti sorpresi quando abbiamo saputo di un funerale militare nella città natale di uno dei militari: Abanoub Marzuk del villaggio di Bani Qurra.

Ho scritto un post sul blog per chiedere le ragioni di questo blackout sul nome di Abanoub. Ho ricevuto una serie di attacchi da utenti dei social network, oltre che da giornalisti, che hanno confermato che queste cose sono “normali”, perché le forze armate non pubblicano i nomi dei martiri che cadono negli attentati terroristici in Sinai, per ragioni di sicurezza e per non intaccare il morale delle truppe dislocate lì. Tutte queste pressioni mi hanno indotto a cancellare il post. Ho detto che forse mi ero sbagliato e non era un atto di discriminazione, e mi sono scusato con i colleghi.

Qualche ora dopo, hanno cominciato a circolare notizie su proteste nella città natale della recluta, a cui le forze armate avevano deciso di intitolare una scuola: la popolazione di quella città aveva fatto pressioni decise per impedirlo perché Abanoub era un “cristiano”. I mezzi di informazione egiziani non hanno fatto abbastanza luce sulla questione, ma diversi giornalisti e attivisti cristiani hanno espresso le loro obiezioni.

Ishaq Ibrahim, un ricercatore dell’Egyptian Initiative for Personal Rights (l’ong con cui collaborava prima dell’arresto Patrick ndr.) , ha commentato su Facebook. “Quelli che hanno rifiutato di intitolare ad Abanoub una scuola non sono esponenti dei Fratelli musulmani, non sono salafiti, non sono estremisti o così via. Abbiate il coraggio di dire che è stato un pubblico funzionario che ha preso questa decisione lasciandosi influenzare dai suoi pregiudizi. Qualsiasi tentativo di addossare la colpa a gruppi religiosi è un tentativo di annacquare le proprie responsabilità”. Ibrahim ha evidenziato nel suo post l’assenza del ruolo dello Stato e l’avallo del razzismo sistematico della gente del villaggio.

LA QUESTIONE DELL’EREDITÀ

Nelle eredità, un maschio riceve una quantità pari a quella che ricevono due femmine, anche nel caso dei cristiani! “Non c’è nel diritto egiziano questa cosa che un uomo deve ricevere una quota di eredità pari a quella di due donne”. Così ha stabilito un giudice dopo la presa di posizione sull’eredità dell’avvocata per i diritti umani Huda Nasrallah (oggi avvocata dello stesso Patrick Zaky ndr). Dopo la morte del padre, Huda ha deciso di combattere la sua battaglia da sola, ma non solo in nome suo, bensì in nome di tutte le donne cristiane.

Il terzo articolo della Costituzione del 2014 afferma che “i principi delle scritture dei cristiani e degli ebrei egiziani sono la principale forte legislativa per tutte le questioni che regolano il loro statuto personale, gli affari religiosi e la selezione delle loro guide spirituali”.

L’articolo 245 del Regolamento della Chiesta ortodossa copta, pubblicato nel 1938, afferma nel terzo capitolo, riguardo agli eredi e al diritto di ciascuno di loro all’eredità, che “i discendenti dell’erede hanno la priorità sugli altri parenti e ricevono tutta l’eredità o quello che ne resta dopo che il marito o la moglie hanno ricevuto la loro parte. Nel caso ci siano eredi multipli, e abbiano tutti lo stesso grado di parentela con il defunto, le proprietà verranno divise fra di essi in parti eguali, senza differenza alcuna fra maschi e femmine”.

Huda ha rifiutato la proposta dei suoi due fratelli. Aveva un obbiettivo più ambizioso, che andava ben oltre il suo caso personale, ed era arrivare a provvedimenti che possano essere applicati anche a casi successivi, per colmare le ingiustizie a cui devono far fronte le donne egiziane riguardo al diritto della persona, dalle questioni legate alle separazioni all’eredità. Molti maschi cristiani approfittano del fatto che i tribunali non riconoscono la religione cristiana nelle sue norme sull’eredità e si prendono più di quello a cui avrebbero diritto secondo la loro religione, perché lo ha ordinato il tribunale; la legge, quindi, è diventata un ostacolo per l’ottenimento dei propri diritti da parte delle donne, in particolare le donne cristiane.

Questa battaglia dimostra una forma di persecuzione contro le donne cristiane in base al diritto islamico, anche se la religione cristiana non afferma questi concetti e non li ha affrontati, né da vicino né da lontano: ma le storture della società patriarcale sono sostanzialmente supportate e giustificate dalla legge.

NON ACCETTIAMO LA TUA TESTIMONIANZA PERCHE’ SEI UN CRISTIANO “

Un post di questo tenore ha raggiunto una diffusione inverosimile su Facebook qualche settimana fa, e si riferisce a quanto accaduto al padre di un dottore, Mark Estefanos, coperto d’insulti in tribunale. Tutto ciò in seguito a lunga storia del padre, ingegnere e dipendente statale per 35 anni. Il padre doveva recarsi in tribunale per testimoniare in una vertenza riguardante un collega, ma il giudice ha respinto la testimonianza dell’ingegner Makarios perché cristiano. «Un copto non avrà mai nessuna autorità su un musulmano». Il padre e il figlio, dottore, sono rimasti sbalorditi, e quest’ultimo ha pubblicato un post per riferire che a causa di situazioni come queste sta pensando di lasciare l’Egitto, perché non gode degli stessi diritti dei suoi connazionali.

Questo problema fu sollevato per la prima volta nel 2008, quando Ahmed Shafiq, cittadino musulmano, chiese la testimonianza del suo vicino di casa cristiano, Sami Farag, in una questione ereditaria, ma il tribunale di Shubra El-Kheima respinse le dichiarazioni di un cittadino cristiano, in quanto la sua testimonianza non era ritenuta ammissibile, sotto il profilo legale nonché religioso, contro un musulmano. Il tribunale costrinse Shafiq a reperire un testimone musulmano. Per tornare alla costituzione… scopriamo che esiste una palese contraddizione sul diritto alla testimonianza e la sua normativa, visto che nel secondo articolo si dichiara che «l’Islam è la religione di stato, l’arabo la sua lingua ufficiale, ei principi della Sharia islamica sono alla base della legislazione», mentre l’articolo 53 recita che «i cittadini sono uguali davanti alla legge e godono di uguali diritti, libertà e doveri pubblici, e non esiste discriminazione tra di loro in base a fede religiosa, credenze, genere, origine, razza, colore, lingua, disabilità, classe sociale, appartenenza politica o geografica, o qualunque altra ragione. La discriminazione e l’incitamento all’odio costituiscono un crimine, punito dalla legge. Lo Stato ha l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per eliminare ogni forma di discriminazione e a tal scopo la legge regola la nomina di una commissione indipendente». D’altro canto, la Sharia islamica respinge la testimonianza di un non musulmano in più di un testo. «Nel diritto in materia di assunzione di prove, non si trova nulla che faccia distinzione tra cristiani e musulmani e impedisca di accogliere la testimonianza di qualsiasi cittadino», con queste parole si è espresso l’avvocato Reda Bakir dell’Iniziativa egiziana per i diritti della persona. Facendo riferimento al diritto sull’assunzione delle prove, è chiaro che non esiste alcun articolo legale che imponga di respingere la testimonianza di un non musulmano.

Muhammad Hassan, ex avvocato dei diritti umani e ricercatore in campo giudiziario, tuttavia conferma: «Sono propenso all’applicazione della legge islamica per tutto ciò che riguarda questioni religiose incontestabili. Non si tratta di essere al di sopra della legge o altro. Ma l’esercizio dell’autorità è riservato ai musulmani, e l’Egitto è la patria dell’Islam, mentre il dhimmi (non musulmano) paga la jizya (tasse) per agevolare le sue istanze».

Questa era una semplice osservazione di quello che può sopportare la comunità cristiana in Egitto solo in una settimana!”