di Carlo Parenti · La pandemia da Covid-19 ha messo in evidenza la tremenda eredità costituita da politiche volutamente divisive e distruttive che hanno perpetuato disuguaglianze, discriminazione e oppressione e hanno aperto la strada alla devastazione prodotta dal virus.
È quanto il 7 aprile u.s. ha chiarito Amnesty International in occasione della presentazione del proprio Rapporto 2020-2021 (vedi) che contiene un’approfondita analisi sulle tendenze globali nel campo dei diritti umani e schede su 149 stati.
La risposta alla pandemia è stata ulteriormente compromessa da leader che hanno spietatamente sfruttato la crisi e hanno usato il Covid-19 per attaccare i diritti umani.
“La pandemia ha brutalmente mostrato e acuito le disuguaglianze all’interno degli stati e tra gli stati e ha evidenziato l’incredibile disprezzo che i nostri leader manifestano per la nostra comune umanità ”, ha dichiarato Agnès Callamard, nuova segretaria generale di Amnesty International.
Le disuguaglianze attuali, eredità di decenni di leadership dannose, hanno fatto sì che la pandemia da Covid-19 abbia avuto un impatto sproporzionatamente negativo su minoranze etniche, rifugiati, anziani e donne ed ha peggiorato la già precaria situazione dei rifugiati, dei richiedenti asilo e dei migranti , in alcuni casi intrappolandoli in campi squallidi, escludendoli da servizi essenziali o lasciandoli abbandonati a loro stessi a causa del rafforzamento dei controlli di frontiera.
La pandemia infatti ha duramente colpito coloro che si sono trovati in prima linea – gli operatori sanitari e i lavoratori del settore informale –che hanno subito le conseguenze di sistemi sanitari deliberatamente smantellati e di ridicole misure di protezione sociale.
“Stiamo raccogliendo quanto seminato in anni di calcolato diniego dei diritti da parte dei nostri leader” osserva Callamard.
La pandemia infatti ha duramente colpito coloro che si sono trovati in prima linea – gli operatori sanitari e i lavoratori del settore informale, “ gli eroi del 2020 che, sebbene collocati alla fine della scala del reddito hanno lavorato per nutrire le famiglie e mantenere in funzione i servizi essenziali. È crudele ma è così: coloro che hanno dato di più sono stati protetti di meno”, ha sottolineato Callamard.
Il rapporto presenta un quadro fosco dei fallimenti dei leader globali quando si è trattato di affrontare la pandemia, attraverso politiche basate sull’opportunismo e sul totale disprezzo per i diritti umani.
“Le risposte dei nostri leader sono state di volta in volta mediocri, mendaci, egoiste, fraudolente. Alcuni hanno cercato di normalizzare le eccessive misure di emergenza adottate per contrastare la pandemia, altri sono andati persino oltre, intravedendo la possibilità di rafforzare il loro potere. Invece di sostenere e proteggere le persone, hanno semplicemente usato la pandemia come un’arma per attaccare i diritti umani”, ha accusato Callamard.
Un modello costante del 2020 è stata l’adozione di leggi per criminalizzare le critiche relative alla pandemia. In Ungheria il governo del primo ministro Viktor Orbán ha introdotto pene fino a cinque anni di carcere per “diffusione di informazioni false” sulla pandemia. Nella zona del Golfo persico, Arabia Saudita, Bahrein, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Oman hanno usato la pandemia come pretesto per continuare a sopprimere il diritto alla libertà d’espressione, avviando procedimenti penali per “diffusione di notizie false” ai danni di persone che avevano pubblicato sui social media commenti critici nei confronti della risposta sanitaria dei rispettivi governi.
Altri leader hanno autorizzato l’uso eccessivo della forza. Nelle Filippine il presidente Rodrigo Duterte ha detto di aver ordinato alla polizia di uccidere chi protestava o chi causava “problemi” durante le misure di quarantena. In Nigeria la brutalità delle forze di sicurezza ha causato morti nel corso delle proteste. Nel Brasile del presidente Bolsonaro, tra gennaio e giugno le forze di polizia hanno ucciso almeno 3181 persone, una media di 17 al giorno.
Alcuni leader hanno fatto persino di più, usando l’elemento distraente della pandemia per stroncare critiche estranee al virus e commettere ulteriori violazioni dei diritti umani mentre il mondo guardava altrove. In India il primo ministro Narendra Modi ha inasprito la repressione contro gli attivisti della società civile, anche attraverso raid nelle abitazioni, con la scusa della lotta al terrorismo. In Cina il governo di Xi Jinping ha proseguito a perseguitare gli uiguri e le altre minoranze musulmane del Xinjiang e a Hong Kong ha fatto entrare in vigore una legge sulla sicurezza nazionale dai contenuti vaghi e generici per legittimare la repressione politica.
Sulla scena internazionale, i leader mondiali hanno ostacolato i tentativi di organizzare una ripartenza collettiva, bloccando o pregiudicando la cooperazione internazionale.
I leader degli stati ricchi hanno fatto scempio della cooperazione globale acquistando buona parte delle forniture mondiali di vaccini, lasciando poco o nulla agli altri. Questi stati hanno rinunciato a premere sulle aziende farmaceutiche affinché condividessero conoscenze e tecnologie al fine di aumentare la fornitura globale di vaccini.
Il governo cinese di Xi Jinping ha censurato e perseguitato gli operatori sanitari e i giornalisti che avevano cercato di lanciare un allarme tempestivo sul virus, sopprimendo così informazioni cruciali.
“La pandemia ha acceso un faro spietato su un mondo incapace di cooperare efficacemente su questioni che necessitano disperatamente di un intervento globale. L’unico modo per uscire da questo caos è la cooperazione internazionale. Gli stati devono assicurare che i vaccini siano rapidamente disponibili per tutti, ovunque e gratuitamente. Le aziende farmaceutiche devono condividere conoscenze e tecnologie affinché nessuno resti indietro. Gli stati del G20 e le istituzioni finanziarie internazionali devono rimodulare il debito dei 77 stati più poveri affinché possano reagire e riprendersi dalla pandemia”, ha sottolineato Callamard.
di Andrea Drigani · Igino Giordani (1894-1980) si definiva un cristiano «ingenuo», intendendo quest’ultimo termine nel suo significato etimologico, proveniente dal diritto romano, cioè di un uomo nato libero, ma libero, precisava, della libertà dei figli di Dio.
Di Igino Giordani scrittore, giornalista, parlamentare, bibliotecario, del quale è in corso la causa di beatificazione, è uscita in questi giorni, per i tipi di Città Nuova Editrice, una biografia di Alberto Lo Presti, con la prefazione di Sergio Mattarella, che vuole riproporre all’attenzione la figura di quest’uomo, collaboratore di don Sturzo, spina nel fianco di Mussolini, confidente di De Gasperi, amico di Paolo VI, cofondatore del Movimento dei Focolari.
Scrive il Presidente Mattarella: «Per Giordani la fede era una porta spalancata sulla verità e sulla libertà dell’uomo. Una fede esigente, e tuttavia non integralista, non ostile all’incontro, alla ricerca del bene comune, all’affermazione del metodo democratico, all’impegno il più possibile corale, comunitario per ridurre le diseguaglianze e far crescere la fraternità».
Il volume di Lo Presti è da segnalarsi anche per l’apparato critico, che ricorre a fonti edite e inedite, con note bibliografiche e archivistiche, testimonianze famigliari e con l’elenco cronologico completo dei libri di Giordani nonchè dei suoi carteggi.
Su questa ampia, documentata e avvincente biografia, vorrei soffermarmi, in particolare, su due periodi: la partecipazione di Igino Giordani alla prima guerra mondiale (1914-1920) e il suo impegno politico sotto il fascismo (1920-1927).
Nel giugno 1916 il sottotenente Igino Giordani è destinato sull’altopiano di Asiago, partecipando ad un’impresa, a dir poco disperata, in quanto doveva arrivare, con il suo plotone, sotto alla trincea degli austriaci per collocare un esplosivo, nell’intento di aprire un varco, e rientrare poi alla base. Tutto questo sotto il tiro dei soldati austriaci, che annientò quasi del tutto il plotone italiano. Giordani, che si era gettato per primo verso l’obiettivo, cadde sotto i colpi dei cecchini nemici. Fu ferito alla mano destra con la perdita della funzionalità di tre dita, e al femore destro, spappolato per dieci centimetri. La gamba gli rimase più corta della sinistra e la flessione del ginocchio fu parzialmente perduta. Fu decorato per questo episodio della medaglia d’argento al valor militare.
Nel 1919 rientrando a casa dopo le degenze ospedaliere e diversi interventi chirurgici, diede alla stampe un poemetto «I volti dei morti» nel quale, in 788 endecasillabi, presentava i suoi ricordi e le sue considerazioni sulla tragica esperienza vissuta in trincea nel fango, nel gelo e con una miriade di morti.
L’attività politica di Giordani tra il 1920 e il 1927 fu caratterizzata da un grande rapporto personale e culturale con don Luigi Sturzo che lo volle capo ufficio stampa del Partito Popolare Italiano, incarico che Giordani svolse al meglio di se, in un confronto duro, serrato e polemico col fascismo, che riteneva un sistema neopagano, basato su principi inneggianti alla violenza, all’odio e al libertinaggio, lusingando, purtroppo, le masse cattoliche con l’inganno di una presunta compatibilità con la concezione cristiana della giustizia.
Nel giugno del 1925, era già avvenuto il delitto Matteotti, Igino Giordani, assieme ad altri tra i quali Mario Scelba, promosse la rivista «Parte Guelfa» che ebbe vita breve e chiuse le pubblicazioni perché, come venne comunicato, era lontana dalle direttive e dalle istruzioni della Santa Sede. Igino Giordani subì ritorsioni, processi e persecuzioni, fu espulso dall’associazione dei giornalisti, venne cancellato dalle liste elettorali, fu respinta la sua domanda di accedere alla libera docenza universitaria in letteratura cristiana antica.
Igino Giordani si trovò, in gravi ristrettezze economiche, dovendo provvedere anche alla moglie e ai figli, ma attraverso il sostegno del cardinale Evaristo Lucidi, che lo conosceva e lo stimava, fu assunto alla Biblioteca Apostolica Vaticana, svolgendo compiti rilevanti per l’ammodernamento della catalogazione.
Mi piace concludere su questo «prode e tenace combattente, la cui coerenza poggiava sulla coscienza religiosa», come scrive Lo Presti, con un frase del suo testamento, redatto l’8 marzo 1980, «I miei figli, tutti, saranno eredi tanto dei beni materiali, quanto dei beni spirituali e intellettuali. Lascio loro una ricchezza infinita: la Santa Eucarestia in cui, dopo morti, saremo legati in unità come prima».
di Alessandro Clemenzia · All’età di 93 anni, nella sua abitazione di Tubinga, è morto Hans Küng, uno degli intellettuali che ha occupato più pagine nei numerosi dibattiti in ambito ecclesiale, divenendo lo stesso suo pensiero “oggetto” di riflessione e di discernimento da parte della Chiesa. Tanti sono i temi da lui affrontati: dall’ermeneutica del Vaticano II all’infallibilità del Romano Pontefice, dal dialogo interreligioso alla questione della ministerialità della Chiesa. Lo stesso rapporto tra Teologia e Magistero ha conosciuto con Küng una stagione di particolare opposizione.
Dei tanti temi, è bene concentrarsi maggiormente su quello della sinodalità, di grande attualità per la riflessione ecclesiologica odierna, tanto che Papa Francesco – come ha affermato nella Commemorazione del 50° anniversario dell’Istituzione del Sinodo dei Vescovi – l’ha descritta come ciò che «Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», e come «dimensione costitutiva della Chiesa».
קָהָל – (qahal) l’assemblea convocata dal Signore – e la sua traduzione nel greco ἐκκλησία, che designa nel Nuovo Testamento la convocazione escatologica del Popolo di Dio in Cristo Gesù» (n. 4). In questa citazione emergono almeno due elementi rilevanti: 1) Sinodo e concilio sono parole distinte ma possiedono un significato convergente. 2) Concilio arricchisce il termine “sinodo” richiamando l’assemblea convocata dal Signore (ἐκκλησία). Dunque, secondo questo documento, concilium coincide con ἐκκλησία. Tale affermazione (anche se non vi è alcun esplicito riferimento bibliografico) si inserisce in realtà all’interno di un dibattito ecclesiologico molto acceso, iniziato già negli anni ’60, tra Hans Küng e Joseph Ratzinger.
Le due impostazioni sono radicalmente differenti e, come ci si può facilmente rendere conto, hanno delle implicazioni ecclesiologiche altrettanto eterogenee tra loro.
Il documento della Commissione Teologica Internazionale, senza menzionare esplicitamente Küng e tantomeno la portata ecclesiologica delle riflessioni post-conciliari, attraverso il recupero etimologico si è inserito all’interno del dibattito, assumendo l’impostazione teologica del teologo svizzero, soprattutto per quanto concerne il rapporto tra concilium ed ἐκκλησία.
Talebani festeggiano l’accordo di pace e il ritiro dei soldati occidentali
. Queste sono state le parole pronunciate da Haji Hekmat, un sindaco talebano, dopo che il presidente statunitense Joe Biden ha annunciato il ritiro di tutte le truppe americane (ufficialmente 2.500 soldati, anche se si sospetta che siano almeno mille di più) in Afghanistan prima del 20° anniversario degli attentati dell’11 settembre.
La guerra contro l’Afghanistan cominciò il 7 ottobre 2001, poche settimane dopo gli attentati a New York e Washington condotti dagli uomini di al-Qaeda sotto la guida del saudita Osama Bin Laden, da tempo nel mirino degli americani dopo una serie di devastanti attentati in ambasciate Usa in Africa. Guerra questa costata più di trilioni di dollari per non parlare delle vite di oltre 2.400 militari statunitensi e di almeno 100.000 civili afgani.
Più sofferenza a causa della “pace”
al Washington Post un alto comandante talebano:
“Questa lotta non è per condividere il potere. Questa guerra è per scopi religiosi al fine di realizzare un governo islamico e attuare la legge islamica”.
A parte i cittadini innocenti che dovranno affrontare la continua violenza dei talebani, quelle che rischiano di perdere di più a causa del ritiro statunitense saranno le donne e le ragazze siccome la sharia le considera come proprietà degli uomini.
Sotto il dominio talebano alle donne
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spesso vittime di matrimoni forzati, sotto l’età di 15 anni era fatto obbligo di unirsi a uomini fino all’età di 60 anni (ciò è dovuto agli hadith che testimoniano che la moglie preferita di Maometto, Aisha, aveva solo sei anni quando la incontrò e nove quando il matrimonio fu consumato).
Sahih al-Bukhari 58, 236
Il presidente Biden è stata molto criticato dei membri del Congresso Usa:
Non ci sono schemi per garantire che i talebani rinnegheranno i loro abusi sui diritti umani specialmente contro le donne, e non intendono nemmeno di combattere contro i terroristi musulmani siccome loro stessi sono jihadisti.
accordo di pace che il primo ministro britannico Neville Chamberlain fece con Adolf Hitler.