Artemide Zatti: breve biografia ed eredità spirituale in vista della sua canonizzazione

di Samuele Cosimo Fazzi · Domenica 9 ottobre, Papa Francesco proclamerà santo Artemide Zatti, Salesiano coadiutore argentino di origine italiana.

Nato a Boretto (RE) nel 1880 qualche anno dopo si trasferisce con la famiglia a Viedma in Argentina e successivamente matura la sua vocazione: diventare salesiano laico e contemporaneamente medico, fondando un ospedale gestito ancora oggi dalla congregazione salesiana. Zatti continua a lavorare in ospedale e allo stesso tempo a dedicarsi ai ragazzi, con abnegazione e secondo lo spirito salesiano fino alla morte avvenuta nel marzo 1951 a 70 anni.

È stato beatificato nell’aprile 2002 da papa Giovanni Paolo II e la sua memoria liturgica cade per la chiesa universale il 15 marzo, giorno della sua nascita al cielo, ma la famiglia salesiana (tutti i gruppi laici e religiosi che si riconoscono nella spiritualità di don Bosco) lo festeggia il 13 novembre.

Il beato Zatti non è una figura molto conosciuta, neanche a tanti ragazzi che frequentano una realtà salesiana: il salesiano coadiutore (o laico) è a tutti gli effetti un membro della congregazione che emette una professione religiosa e vive in comunità con i suoi confratelli, ma ha una formazione e conoscenza in un determinato campo -da mettere a servizio dei ragazzi – che non è principalmente a carattere teologico-spirituale, cosa che invece caratterizza il salesiano sacerdote (può essere anche un diacono) che è un ministro ordinato.

È importante capire questa differenza anzitutto perché quando si parla di vocazione subito viene in mente il sacerdozio. Ma l’hanno ribadito più volte in molti: non è così. La vocazione è una chiamata che può sostanziarsi e arricchirsi in molteplici aspetti; don Bosco stesso ha fondato i salesiani con un obiettivo: portare i giovani alla santità, di certo non aveva in mente di farli diventare tutti preti!

Ciò quindi su cui dovremmo riflettere è cos’è questa santità (strettamente legata alla vocazione). Quando si pensa ai santi, subito vengono in mente quelli del calendario, è vero: hanno avuto delle virtù durante la vita terrena e riconosciute post mortem, ma è riduttivo dire che per diventare santi bisogna esserlo proclamati dopo un lungo lavoro da parte del dicastero della curia romana competente. La santità intesa in senso più ampio si può definire – e molti concorderanno – come il preludio della vita eterna: già durante la vita terrena si può essere santi senza bisogno di fare grandi cose, basta fare qualcosa bene, nel proprio piccolo e senza cercare i riflettori o una presunta fama fine a sé stessa.

Appare un concetto banale ma non lo è per niente: a parole potremmo essere tutti d’accordo, ma nei fatti vi è sempre una tendenza ad agire secondo il proprio ego.

Da qui la Chiesa deve ripartire – anche in linea con il cammino sinodale che ci accompagnerà in questi anni – per formare al suo interno una nuova coscienza.

Cos’è la vera santità? Siamo capaci, con l’aiuto e l’esempio di persone che ci hanno preceduto, come in tal caso Zatti, a raggiungerla? E in che modo? A voi cari lettori la possibilità di rispondere e soprattutto di riflettere.