«Ego sum lux mundi» (Gv 8,12). Noterelle con San Tommaso d’Aquino

ob_c03546_novena-san-tommasodi Andrea Drigani Nel Dizionario dei Sinonimi di Niccolò Tommaseo si legge: «Noterelle illustranti il senso, distinte dalle note critiche ed estetiche. Ma anco in noterelle brevi può essere espresso e ispirato il senso del bello». Quella che sto scrivendo è proprio una noterella, che parte da una rilettura di un’espressione evangelica. Il Vangelo ogni volta che lo si legge, infatti, ci spinge sempre verso nuovi approfondimenti anche secondo la migliore tradizione cristiana. Questa è la frase che mi ha ancora una volta colpito: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8,12) [«Ego sum lux mundi; qui sequitur me non ambulat in tenebris, sed habebit lumen vitae»]. Queste parole ci rimandano alla Rivelazione («Revelatio»), che per San Tommaso d’Aquino è una nuova luce, gratuita, soprannaturale, donata dalla Spirito Santo che tocca immediatamente la ragione. Il Dottore Angelico paragona la «Revelatio» all’azione del sole: come il sole con la sua luce rende visibili le cose materiali, così Dio facendo dono al nostro intelletto di questa luce, ci spalanca la visione di verità che prima gli erano inaccessibili ed invisibili. San Tommaso, per designare l’effetto speciale con cui il sole di Dio svela alla mente nuove verità, ricorre a varie espressioni, che però hanno sempre in comune il termine «lumen» (luce), che egli definisce «ciò che rende manifesto quanto prima era occulto». Ora mentre già col lume naturale («lumen rationis.») l’uomo può raggiungere un ampio orizzonte conoscitivo, col nuovo lume, lo sguardo della sua mente può andare più lontano: verso il futuro (e allora si avrà il «lumen prophetiae») o in profondità (e allora si ha il «lumen fidei»). L’effetto del «lumen revelationis» è comunque quello di svelare nuove realtà e nuove verità, o per meglio dire è un vedere nuovo che fa vedere oggetti nuovi. Come per quanto attiene alla legge naturale, già presente nella cultura precristiana (Sofocle, Platone, Aristotele), che viene ritenuta dall’Apostolo San Paolo (Rm 1,18-32; 2,14-15;7,22-23) come legge divina; il cui contenuto, secondo il monaco Giovanni Graziano, autore della «Concordia discordantium canonum» del 1140, è «in Lege et Evangelio» (cioè nella Sacra Scrittura), e che dal Dottore Angelico è definita impronta della luce divina in noi («impressio divini luminis in nobis»). Dall’epoca di Ugo Grozio (1583-1645) si è tentato di recidere la legge naturale della sua origine divina, creando un diritto naturale che prescinde da Dio («etiamsi daremus nongrozio_a esse Deum»), nell’intento di promuovere ampie convergenze giuridiche e politiche. Tale prospettiva, forse per ricercare larghe alleanze, in tempi recenti sembra essere stata riproposta con la frase «come se Dio ci fosse» («veluti si Deus daretur»). San Tommaso ci ricorda come la pienezza della Rivelazione si è avuta in Cristo. Lui è la stessa luce («lumen») che rispende nelle tenebre, una luce che è la stessa luce, anzi la medesima luce esistente e rende perfetta testimonianza alla verità e manifesta perfettamente la verità («Christus est ipsum Lumen comprehendens, immo ipsum lumen existens. Et ideo Christus perfecte testimonium perhibet et perfecte manifestat veritatem»). Nel corso della sua vita – osserva infine il Dottore Angelico – Gesù Cristo prima di affidare agli apostoli la missione di evangelizzare il mondo, li ha istruiti; a essi ha dato il suo spirito e la sua dottrina, in modo che potessero illuminare tutti gli uomini.