Utopia inattuali? Una pagina di Ernst Bloch.

di Carlo Nardi · Ernst Bloch parla di nozze cattoliche, che a lui appaiono serie e belle. Ed ecco uno scritto: Il principio speranza (1954), I, Sogni ad occhi aperti (trad. ital. con E. De Angelis e T. Cavallo), con Introduzione di R. Bodei, Garzanti, Milano 1994, pp. 386-388:

Il matrimonio diventa comunità in nuce, dunque il Corpus Christi riprodotto da uomo e donna. Anche qui vi è immagine che comincia soltanto col matrimonio e in esso, in quanto casa, ha la promessa erotica, con uno splendore sensibile-spirituale. A ciò credono ancora milioni di persone, credono al sacramento del matrimonio: per loro il matrimonio viene concluso in cielo e vi resta fino alla morte, nonostante un possibile squallore o una catastrofe terrena. I coniugi amministrano il sacramento: attraverso lo sposalizio, essi stessi entrano già in rapporto con Dio in quanto creatore delle anime dei figli. Ogni matrimonio, sottolineò Pio XI, è in se stesso un sacramento, anche se ancora vuoto; vi intervenga il prete, nell’unico sacramento che la Chiesa stessa dà, ma che essa rende ‘sacramento pieno’ ratificandolo. Veramente, nel sacramentum plenum al credente deve rivelarsi nel matrimonio una straordinaria miniera d’oro; marito e moglie costituiscono una imago senza pari. Secondo la dottrina della Chiesa, essi si congiungono come membri consacrati del Corpo di Cristo, per dedicarsi all’ampliamento di questo Corpo, alla diffusione appunto dell’alleanza di Cristo con la sua comunità, “poiché noi siamo membra del suo corpo, della sua carne e delle sue ossa. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre, e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne. Questo mistero è grande: dico però in Cristo e nella sua Chiesa” (Efesini 5,30-32).

L’amore di Sulamith per Salomone nel Cantico dei Cantici, con i seni più amabili del vino, con l’amico che è sceso a pascersi tra i giardini e a cogliere rose, questo ardente canto di nozze viene trasformato ecclesiasticamente ed esposto allegoricamente come colloquio d’amore di Cristo con la sua Chiesa, come dedizione del capo al corpo, e come purificazione del corpo ad opera del capo. Nonostante il peccato originale, i corpi sono membra di Cristo, templi dello Spirito Santo (1 Corinti 6,16-19), sempre in modo che il matrimonio abbia le sue radici nel matrimonio di Cristo con la Chiesa e sia il suo ampliamento e prosecuzione, il suo organo e calco nella creatura ragionevole.

Comunione sessuale e fedeltà ad essa si collegano completamente in questa immagine del matrimonio con la comunione religiosa e sociale, certo solo nella forma della comunità cristiana riferita all’aldilà. In san Paolo il matrimonio diventa l’unione del discepolo e della discepola sulla base dell’affinità e della tradizione, per fondersi nell’immagine del nuovo Dio, per appartenergli nella nuova casa; la comunità sessuale diventa idealmente comunità di culto. La creatura, certo, al vino di questo miracolo ha aggiunto generosamente acqua e infelicità, e soprattutto lo fece la società per nulla cristianeggiante tardo-romana, feudale, capitalista, in cui ora il Corpus Christi non si delineava in maniera proprio perfetta nel contesto sociale. Comunque l’utopia della vite e dei tralci ebbe a sua efficacia nel refugium, che la famiglia volle conservarsi in maniera non antagonistica, all’interno della società di classi. Nonostante tutti i tratti fortemente patriarcali e nonostante il punto di fuga e di riferimento extramondano, non ci fu un’utopia dell’amore che desse, altrettanto profondamente, importanza al matrimonio e ne rendesse vincolante l’immagine. Il tratto patriarcale fondamentale, con l’uomo come ‘capo’, ora comunque insito in una comunità amorosa di ordine ampio, in cui non doveva esserci più dominio, e nemmeno una solitudine a due. Unus christianus, nullus christianus: questo principio di un recondito collettivo si rifletteva qui come fede, amore, speranza nel matrimonio.

Chi era Ernst Bloch (1885-1977)? Un filosofo intellettuale marxista, che direi alquanto serio e curioso attento al saper dell’umano (cf. E. Bloch, Marxismo e utopia, a cura di V. Marzocchini, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 97-100; Fr. Toscani, Speranza e utopia nel pensiero di Ernst Bloch, in Koiné. Periodico culturale in rete, XVI, gennaio-luglio 2009, 21 pp.). Con questi pensieri dicono assai. Tra questi sono due sole parole commesse e distinte: la prima, sempre nuova, l’utopia, quella del martire Tommaso Moro in tutta coscienza cattolicità; l’altra è dotta speranza per colui che ha cuore. Donde le anime belle atte a conoscere amore, che mi appaiono attorno a Ernst Bloch ed altri, quale il riformato Jürgen Moltmann con La teologia della speranza. Ricerche sui fondamenti e sulle implicazioni di una escatologica (Queriniana, Brescia 1964.2002), e i nostri Ernesto Balducci e Ludovico Grossi con La pace. Realismo di una utopia (Principato, Milano 1983).

A questo proposito mi son ricordato della Octogesima adveniens. 80° Anniversario dell’enciclica della Rerum Novarum. Lettera apostolica. 14 maggio 1971 del papa Paolo VI, inviato al cardinal Maurice Roy, addetto alla Commissione ‘Iustitia et Pax’ in particolare sulla Rinascita delle utopie, 37:

Meglio si comprendono oggi i lati deboli delle ideologie esaminando i sistemi concreti nei quali esse cercano di realizzarsi. Socialismo burocratico, capitalismo tecnocratico, democrazia autoritaria manifestano la difficoltà di risolvere il grande problema umano della convivenza nella giustizia e nella uguaglianza. In realtà, come potrebbero essi sfuggire al materialismo, all’egoismo o alla violenza che fatalmente li accompagnano?

Da dove viene la contestazione che nasce un po’ ovunque, segno di disagio profondo, mentre si assiste alla rinascita di “utopie” che pretendono di risolvere il problema politico delle società moderne con più efficacia delle ideologie? Sarebbe pericoloso non ammetterlo: l’appello all’utopia è spesso un comodo pretesto per chi vuole eludere i compiti concreti e rifugiarci in un mondo immaginario.

Vivere in un futuro ipotetico rappresenta un facile alibi per sottrarsi a responsabilità immediate.

Bisogna però riconoscere che questa forma di critica della società esistente stimola spesso l’immaginazione prospettica, ad un tempo per percepire nel presente le possibilità ignorate che vi si trovano iscritte e per orientare gli uomini verso un futuro nuovo; tramite la fiducia che dà alle forze inventive dello spirito e del cuore umano essa sostiene la dinamica sociale; e se non si nega a nessuna apertura, può anche incontrarsi con il richiamo sociale; e se non si nega a nessuna apertura, piò anche incontrarsi con il richiamo cristiano.

Lo Spirito del Signore, come anima l’uomo rinnovato nel Cristo, scompiglia senza posa gli orizzonti dove la sua intelligenza ama trovare la propria sicurezza, e sposta i limiti dove si rinserrerebbe volentieri la sua azione; egli è abitato da una forza che lo sollecita a sorpassare o ogni ideologia. Nel cuore del mondo rimane il mistero dell’uomo che si scopre figlio di Dio nel corso di un processo storico e psicologico, nel quale lottano si alternano costrizioni e libertà, pesantezza del peccato e soffio dello Spirito”.

Ed è anche il sentire di papa Francesco nella Fratelli tutti. Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, con Guida alla lettera di Luigino Bruni, 30, Paoline, Milano 2020, p. 43: “Nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi”. Di fatti: “Vediamo come domina un’indifferenza di comodo, fredda e globalizzata, figlia di una profonda disillusione che si cela dietro l’inganno di una illusione: credere che possiamo essere onnipotenti e dimenticare che siano tutti sulla stessa barca”; p. 32: “Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo, la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti”. E ancora: “Con la tempesta, è caduto il trucco di quegli stereotipi con cui mascheravamo i nostri ‘ego’ sempre preoccupati della propria immagine; ed è rimasta scoperta, anche una volta, quella (benedetta) appartenenza comune alla quale non possiamo sottrarci: l’appartenenza come fratelli” (già in Momento straordinario di preghiera in tempo di epidemia: 27 marzo 2020), in L’Osservatore Romano, 29 marzo 2020, p. 10).

Si tratta ancora di utopie e di speranze, simili certo, ma non affatto uguali, quelli di papa Paolo con papa Francesco. Il primo papa ben sapeva di speranze possibili, mentre il secondo si sente in una cupa perdita, alla quale però siamo “tutti” noi “sulla stessa barca”, ch’è la nostra. E ci è la canzonetta, vispa e saggia, e che pare alla bona, Fin che la barca va non la … della Orietta Berti (e con Fin che la barca va non la … eccetera) …

Intanto, per saperne un po’ di più, che non fa mai male: Bonhoeffer di I. Mancini, Bonhoeffer, Vallecchi, Firenze 1969, e su La Pira un mio scritto La Scrittura ne “L’Attesa della povera gente”. Teologia biblica ed economia politica, in A. Giovagnoli, A. Giuntini, A. Magliulo, C. Nardi, S. Nerozzi, L. Pagliai, D. Parisi, P. Roggi, L’Attesa della povera gente alle origini. Giorgio La Pira e la cultura economica anglosassone. A cura di Piero Roggi. Introduzione di Giulio Conticelli, Firenze, Giunti Editore, 2005, pp. 138-168, col suo evangelico di fede in fede nella Lettera ai Romani (1,17) lo ritroviamo nella sua operosa con salda sua fedeltà.

E Bloch sembra raccomandare questo suo foglio sia per ragazzi sia per vetusti, e in compagnia di papi umani.

Più essere utile: Enciclica di papale. All’interno del dossier a cura della redazione di ‘Avvenire’, con Scopriamo l’enciclica di papa Francesco sulla fraternità e l’amicizia sociale, Fratelli tutti, in Avvenire, I-VIII, a sua volta L’informatore, novembre 2020, con interventi di Stefania Falasca, Il Papa: così il mondo può cambiare davvero, II-III; Paolo Lambruschi, La pace dipende da noi, IV; Leonardo Bacchetti, La società è l’anima della storia, V-VI; Luigino Bruni, Questa fraternità dà voce alle vittime, VII.