Un gennaio molto caldo

Un gennaio molto caldo

di Gaetano Mercuri · I fedeli napoletani credono fermamente che qualora la reliquia del sangue di San Gennaro non si dovesse sciogliere in una delle tre date annuali in cui il prodigio accade, ciò sarebbe foriero di sventura.

Lungi dal voler sostenere credenze che, sia detto sempre con il massimo rispetto, sembrano sconfinare nella superstizione, il mancato miracolo di metà dicembre sembra davvero abbia annunciato mesi «molto caldi».

Difatti in meno di un mese è accaduto di tutto, a livello nazionale e internazionale.

L’anno 2021 si è aperto con un fatto che definire storico è ben poco: il 6 gennaio una nutrita folla di facinorosi ha provato ad assaltare Capitol Hill, il palazzo del Congresso degli Stati Uniti d’America, palesemente incitata da un presidente uscente, asserragliato alla Casa Bianca e che sembrava pronto a tutto pur di non rimettere ordinatamente il mandato al successore democraticamente eletto.

Quella che è la sede della democrazia più longeva ed importante del mondo, non riceveva un oltraggio simile dall’incendio subito nel 1814 durante la guerra anglo- americana. Con la notevole differenza però che se lì si trattò di un attacco da parte del nemico straniero nell’adempimento di una ben pensata strategia militare, qui abbiamo visto un pessimo esempio del peggior folklore americano. Spettacolo di pessimo gusto che però ha causato cinque vittime e tredici feriti.

La cosa ha suscitato clamore, apprensione e disgusto in tutto il mondo. La popolarità di Donald Trump ne è risultata duramente messa alla prova. Il Senato americano ha avviato la procedura di impeachement che, stranamente, andrà avanti ben oltre il termine del mandato del 45° Presidente U.S.A., con il palese obiettivo di riuscire ad escluderlo da un’eventuale nuova corsa alla Casa Bianca nel 2024, grazie a una delle conseguenze più importanti dell’esito positivo dell’inchiesta sull’operato del già capo dell’amministrazione federale: l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Attualmente non sembra che i democratici abbiano i numeri per questo e che tutto si concluda quindi con un nulla di fatto. Ma comunque è chiaro che, qualora anche Trump fosse finito, i disvalori da lui incarnati nel trumpismo non avranno certo vita breve.

Nonostante tutto, la transizione è avvenuta comunque ordinatamente, il 20 gennaio, con il giuramento del nuovo presidente Joe Biden. Senza precedenti e scortese dal punto di vista istituzionale, l’assenza del suo predecessore; eloquente invece la presenza di tutti i predecessori, in primis del repubblicano G.W. Bush, che in più di un’occasione ha reso noto di trovarsi in totale disaccordo con il leader del suo partito.

Joe Biden è il primo presidente cattolico degli U.S.A. da sessant’anni, il secondo in assoluto nella storia dopo J.F. Kennedy. Ha giurato su una Bibbia cattolica appartenente alla sua famiglia da oltre centotrent’anni, dai tempi dei suoi avi irlandesi immigrati in America alla ricerca di una vita migliore. Ha giurato di fronte a un sacerdote della compagnia di Gesù. Sono stati citati dai vari interventi Sant’Agostino, Papa Francesco, il primo arcivescovo cattolico degli Stati Uniti Carroll.

Non scontato tutto questo in una società e una politica come quelle americane, da sempre generalmente parecchio ostili nei confronti del cattolicesimo militante!

Joe Biden suscita grandi speranze nel mondo ed insieme lacera la stessa comunità cattolica statunitense per alcune sue scelte. Ma vedremo presto le evoluzioni e i risultati del suo pensiero e della sua azione.

Intanto in casa nostra, la crisi di governo annunciata da uno dei partiti della maggioranza ha portato alle dimissioni del II governo Conte, sebbene questi abbia di fatto ottenuto la maggioranza relativa e la fiducia al Senato. Cosa gravissima in tempi come quelli che il nostro Paese sta vivendo. Tutto è ora affidato alla saggezza del nostro capo dello Stato, che, mentre esce questo articolo, ha già incaricato di un mandato esplorativo il presidente della Camera dei deputati Roberto Fico.

Vedremo anche qui le evoluzioni, ma per intanto è possibile notare qualcosa di finora inaudito: l’assenza dell’Italia al World Economic Forum di Davos, nell’anno in cui il nostro paese per la prima volta presiede il G20!

Conte non poteva certo presentarsi in Svizzera da dimissionario, avendo comunque ben altro per la testa in questo momento.

Ma tutto ciò fa capire quanto ormai contiamo poco nello scenario internazionale, proprio nel momento in cui maggiormente avremmo gli strumenti per farlo e, soprattutto, quanto gli affari esteri contino poco per la nostra provinciale politica «politicante».