Che cos’è la teologia? A partire da un libro recente

di Francesco Vermigli · La [teologia] è quella cosa con la quale e senza la quale, il mondo rimane tale e quale. Potremmo iniziare così, in coerenza con i sentimenti di tanta parte della Chiesa di oggi, che pare intendere la teologia come qualcosa di ozioso e di inutile; perché nella Chiesa, come nel mondo… si sa… c’è da fare. Questa è come la versione popolaresca della più aulica massima che indica che bisogna primum vivere deinde [theolog]ari. In effetti, ciò che in maniera un po’ scherzosa vogliamo restituire con questi modi di dire – che solitamente si applicano alla filosofia, sorella della teologia nella sventura dell’evo moderno – è il frutto di un certo anti-intellettualismo, che ha trovato nelle sacrestie e negli oratori degli ultimi decenni terreno per attecchire. Certo, si dirà, che chi è causa del proprio mal… vale a dire che si potrebbero anche considerare – questi che vediamo oggi – gli effetti certo indesiderati di una teologia arida e astratta, lontana dalla vita, che ha riempito di libri ben presto impolveratisi gli scaffali di mille seminari e conventi. Concediamo che siano state pure queste le ragioni di una tale sfiducia e di una tale disaffezione, condotta poi presso alcuni circoli fino ad un esplicito ostracismo nei confronti della teologia; ma ci viene in soccorso un altro adagio, conosciuto a chi sa far ben i conti con la storia dell’uomo e delle civiltà: e cioè che facendo così, la Chiesa rischia di buttare via il bambino con l’acqua sporca del bagnetto.

Siccome gli adagi hanno un che di vero, ma se messi a ripetizione sulla pagina possono tediare assai, la finiamo qui. E diciamo qualcosa su un libro che riesce nell’intento di mostrare il volto vero della teologia e, per transennam, contribuire almeno in parte a proteggere la teologia da ogni offensiva anti-intellettualistica; quell’ostilità nei confronti del pensiero teologico che assomiglia all’acqua che scava lentamente e profondamente le fondamenta di un palazzo fino a farlo crollare. Dove, nella metafora, il palazzo sono i bastioni della teologia, prima e dopo Balthasar – che di bastioni da abbattere se ne intendeva… – perché l’acqua che scava non fa distinzioni: che il palazzo sia vetusto e quasi abbandonato o che sia rinnovato e assai più appariscente, poco cambia, l’acqua dell’anti-intellettualismo scava e abbatte. Vi sono dunque libri chiari e ben strutturati che riescono nell’intento (inconsapevole nell’autore, mi raccomando, non vorremo mai attribuire preoccupazioni che solo noi vediamo…) di restituire vigore e linfa alle fondamenta della teologia. E mentre scriviamo dei benefici e dei pregi del libro, ci rendiamo conto che neanche abbiamo detto di tal libro né il titolo, né l’autore.

Ci riferiamo dunque all’opera del teologo Massimo Naro, dal titolo: Introduzione alla teologia (Bologna, EDB, 2020, € 30,00). Un libro che nel titolo rivela un obbiettivo che parrà dimesso, ma solo agli occhi del dilettante. Perché introdurre alla teologia significa, nientemeno, capire le ragioni dell’esistenza della teologia medesima, di cosa essa sia, di quale siano i suoi metodi, quali i suoi scopi. L’autore lo fa con competenza, ma anche con una certa originalità (le due cose, spesso, non riescono a stare assieme… nella penna di un teologo, come presso gli autori delle altre discipline).

Sebbene egli propriamente non metta sulla pagina un’articolazione del significato di “teologia” esattamente in questi termini, si potrebbe dire che il senso di “teologia” – come ben sa anche chi non si diletta di greco antico – sta sotto il binomio theologhia. Ora, istintivamente, il lettore solerte e sicuro di sé tradurrà all’impronta che theologhia è “discorso su Dio”: e ne avrebbe ben donde. Solo che – come fa passare il nostro autore – una tale definizione di teologia, a ben vedere, non tocca ciò che è il proprio della teologia cristiana; dove la theologhia prima ancora che un discorso su Dio, è un discorso di Dio. Vale a dire che il diligente lettore di queste righe è come costretto a riconoscere ciò che accade sempre, quando si ha a che fare con il fatto cristiano: che prendi un lemma, ma il suo significato lo devi rivedere alla luce di quel fatto.

In altri termini, fare teologia alla maniera cristiana significa riconoscere che Dio, prima ancora che l’oggetto che la teologia studia, è il soggetto di questa: perché Dio è all’origine di essa. Volendosi rivelare, ha posto le basi perché potesse esistere la teologia come la intendiamo noi. La teologia, direbbe Tommaso – nella sua prima quaestio del suo capolavoro – è una scienza che deriva i propri principi da una scienza superiore: la teologia è quella scienza che accetta i principi rivelati da Dio (cf. Summa th., I, q. 1, a. 2).

Ma se parliamo di scienza, parliamo di metodo, perché non v’è scienza che non abbia un metodo: sennò è immaginazione, è narrazione… è altro, semplicemente. Al metodo teologico, ai suoi principi e alla sua ratio si dedica la gran parte del volume del Naro. Non vorremmo affaticare ulteriormente il benevolo lettore di queste righe, ma – anche con il rischio di assai sminuire la complessità della sua speculazione – ci fermiamo su due aspetti che ad ogni piè l’autore mette a fuoco: vale a dire che la teologia si distingue per la dimensione critica imprescindibile (che la fa annoverare nel numero delle discipline e non delle narrazioni…) e per l’aspetto teologale; laddove si deve intendere che è della teologia esser un dono della grazia di Dio, prima che un impegno e una metodica dell’uomo.

Forse quest’aspetto teologale decisivo della riflessione teologica è un punto a favore della teologia nel mondo di oggi. Perché mostrare come scopo della teologia sia riflettere sulla rivelazione che Dio fa del suo amore per noi, tocca il cuore di donne e di uomini desiderosi di senso e di vita. Almeno, da sedicenti teologi, lo speriamo.