La solennità dell’Epifania e la salvezza universale in Cristo

887d167f80a992b4b6fa1b1a190f1248di Francesco Vermigli Tutto il tempo liturgico del Natale può essere considerato come una sorta di continua amplificazione dell’evento originario e fontale della salvezza cristiana: la nascita del Salvatore a Betlemme di Giuda. Come una risonanza di questo evento dovrà dunque essere intesa anche la solennità dell’Epifania del Signore, che si colloca nella seconda parte di tale tempo liturgico. Non v’è chi non sappia che il termine “epifania” reca con sé il senso greco della “manifestazione”, vale a dire della rivelazione di un mistero fino a quel momento nascosto. Se guardiamo alla collocazione liturgica della solennità, Epifania sarà dunque manifestazione di qualcosa che è nascosto nel mistero della Natività di Gesù. Che dietro la successione cronologica di “evento” / “manifestazione del suo significato” stia poi la pedagogia liturgica che mira ad una progressiva introduzione a tale mistero, è cosa che dobbiamo prendere in considerazione, ma che non inficia il ragionamento che stiamo facendo.

Per quello che qui ci consta, infatti, Epifania è innanzitutto manifestazione di una verità teologica radicale e di prim’ordine, connessa con l’evento della nascita di Gesù; una verità che viene alla luce nell’episodio della visita di alcuni Magi provenienti dall’Oriente ed è siglata dalla prima lettura della messa del giorno, dal libro del profeta Isaia: la questione capitale, cioè, dell’universalità della salvezza in Cristo. In questo contesto liturgico, sono le parole del profeta a suggerire immagini e termini: «Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te» (Is 60,3-4). Tenendo assieme l’episodio evangelico con la prima lettura, è possibile affermare che i Magi rappresentano tutte le genti, chiamate a riconoscere che nel bambino di Betlemme la salvezza di Dio si è fatta presente in maniera unica e definitiva.

La questione dell’universalità della salvezza in Cristo si scontra oggi con l’obiezione secondo la quale essa nasconderebbe una pretesa integralista non al passo con i tempi. Quest’obiezione ancora piuttosto grezza si eleva al livello della riflessione teologica, nel momento in cui dichiara che legare la salvezza dell’uomo ad un evento concreto – che si è, cioè, realizzato in un dato tempo e in un preciso luogo, come nel caso della nascita di Gesù – significherebbe in qualche modo ingabbiare la perenne vitalità rivelativa di Dio. Si tratta – sia detto per inciso – di una sorta di variante moderna della grande obiezione che il Lessing fece nel ‘700 ad ogni verità religiosa storicamente rivelata.

Ora, a ben vedere, un’obiezione di questo genere si scontra tanto con un argomento ben radicato nella tradizione cristiana, quanto con un assioma della trinitaria novecentesca che tanta fortuna ha avuto nella riflessione degli ultimi decenni. Dire che il Verbo si è bensì manifestato nel nostro mondo nella persona di Gesù Cristo, ma che ugualmente la salvezza si è manifestata e potrà ancora manifestarsi altrove in maniera indistinta, significa contraddire al vecchio “argomento soteriologico” che largo spazio ha avuto nell’elaborazione delle più rilevanti definizioni dogmatiche cristiane: se così fosse, in Gesù e nelle equipollenti manifestazioni della salvezza divina l’uomo non avrebbe più a che fare con la salvezza in quanto tale, ma solo con una variante adiafora di essa. Soprattutto non avrebbe più a che fare con Dio stesso.

Una linea teologica che venga a negare l’unicità e l’universalità della salvezza nella persona di Gesù Cristo, pare anche contraddire il celebre Grundaxiom rahneriano, secondo il quale “la Trinità economica è la Trinità immanente e viceversa”: a nostra conoscenza, solo il p. Ladaria, attuale prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede, ha accennato a come una tale linea teologica si contrapponga in radice all’assioma (cf. La Trinità mistero di comunione, pp. 42-49). Non si vede infatti come potrebbe mantenersi questa corrispondenza tra la Trinità che si rivela nella storia e la Trinità in sé, se si dichiara che la salvezza può passare in maniera indifferente in manifestazioni “non gesuane” del divino. Alla base dell’assioma del teologo tedesco stava la preoccupazione che se la Trinità economica non si mostra per quella che è, in ultima istanza non salva: ora, non v’è dubbio che affermare il “mostrarsi” indifferente del divino nella storia al di fuori della rivelazione di Cristo, viene a rompere quella corrispondenza cui invita l’assioma del gesuita. Mentre Cristo rivela relazioni intradivine di figliolanza e di spirazione, la religiosità diffusa verrebbe a delimitarle e relativizzarle come una delle tante espressioni della salvezza.

Sembra allora che spetti in prima battuta alla teologia odierna riuscire a trovare quel giusto equilibrio in grado ad un tempo di mantenere ferma la barra nel cammino che è stato per la Chiesa degli ultimi decenni il dialogo interreligioso, e favorire l’emersione di quella verità radicale della fede cristiana che esonda in maniera naturale dalla solennità dell’Epifania: Cristo unico Mediatore tra Dio e gli uomini (cf. 1Tm 2,5).