L’accidia, il male del nostro tempo. Una breve monografia di Giovanni Cucci

Cuccidi Gianni Cioli • La letteratura sui vizi capitali ha conosciuto negli ultimi anni una notevole fortuna, in ambito non soltanto teologico e spirituale ma anche filosofico. Il fenomeno, talora non privo d’ambiguità (cf. G. Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, Bologna 2010), andrebbe valutato e compreso attentamente, ma l’interesse per i vizi e la loro fenomenologia può offrire un’opportunità per la riflessione morale cristiana, che sul tema potrebbe avere molto da dire. Può anche risultare un punto d’appoggio per la proposta di un itinerario educativo che voglia coniugare formazione culturale, maturazione morale e iniziazione alla fede. In questa luce si può riconoscere il valore della breve ed essenziale monografia che Giovanni Cucci, gesuita e docente di filosofia e psicologia, ha dedicato all’accidia (L’accidia, il male del nostro tempo, Edizioni Adp, Roma 2011). Il tema dell’accidia è introdotto con la celebre citazione montaliana relativa al «male di vivere» (E. Montale, Ossi di seppia, Torino 1942, 52) ed è sviluppato attraverso cinque sintetici paragrafi: Che cos’è l’accidia; Fenomenologia dell’accidia; L’accidia malattia dello spirito; Il male del nostro tempo; Contrastare l’accidia. Essa è «la debolezza dell’anima, che si manifesta come assenza di attrazione, di desiderio di vivere» (L’accidia, p. 7). Può apparire affine alla depressione ma non coincide con questa perché l’accidia può sì manifestarsi attraverso un atteggiamento pigro e abulico – come in genere la si raffigura nell’immaginario collettivo – ma anche attraverso un «umore euforico, molto attivo e operoso unito tuttavia ad una (…) paralisi circa la vita spirituale» (L’accidia, p. 9). Può essere definita, nel solco del pensiero tomista, come una specie di tristezza, ma non è la tristezza tout court, che la tradizione spirituale monastica ha accuratamente distinto dall’accidia. «La tristezza dell’accidia risiede nell’incapacità di amare, compiere il bene, fino all’impossibilità di gioire per esso; l’accidioso come il narcisista, ama solo se stesso, isolandosi da tutto, e la depressione ne rivela il vuoto desolante» (L’accidia, p. 16). L’accidia è il disgusto per il bene spirituale e interiore che deprime lo spirito dell’uomo al punto da togliergli la volontà di agire e soprattutto d’impegnarsi per compiere il bene. Se è vero che la sua fenomenologia è stata indagata precipuamente nell’ambito della letteratura monastica e cenobitica cristiana tardo antica e medievale, l’accidia appare nondimeno come un vizio assai attuale, un male del nostro tempo, appunto. «Forse questo vizio appare così diffuso perché riflette l’odierna mancanza di speranza. Di fronte alle difficoltà sorge, inevitabile, l’interrogativo sul senso di un impegno che si rivela incapace di oltrepassare i risultati immediati e possibili frustrazioni» (L’accidia, p. 21). Come contrastare l’accidia? «L’insegnamento costante dei padri spirituali è che di fronte alla minaccia dell’accidia bisogna reagire facendo esattamente l’opposto di quanto essa suggerirebbe all’animo, anzitutto in sede di valutazione: sentirsi incapaci non significa essere incapaci» (L’accidia, p. 22). Da buon gesuita Cucci si richiama all’insegnamento di sant’Ignazio di Loyola. È particolarmente significativo un passaggio in cui si esamina la relazione tra accidia e morte, simbolicamente espressa dal disagio interiore: «Il fondatore della Compagnia di Gesù, entrando nel merito di decisioni importanti per la propria vita, suggerisce di rappresentarsi con l’immaginazione il momento della propria morte, domandando conto, più che dei peccati commessi, delle possibilità di bene disattese. Questa è per lui la domanda decisiva: “Considererò, come se mi trovassi in punto di morte, il comportamento che allora vorrei aver tenuto nella presente scelta e regolandomi secondo quello, prenderò fermamente la mia decisione” (Esercizi spirituali 186)» (L’accidia, p. 21). «Questi due elementi, considerare la brevità della propria vita insieme alle possibilità di bene alla propria portata, aiutano a riconoscere una direzione per cui spendersi, limitata ma reale (…). Di fronte alla sofferenza soffusa dell’accidia, il punto su cui focalizzarsi è dunque di individuare un progetto sensato per la propria vita, mettendo al suo servizio il potere di bene che ci è affidato» (L’accidia, pp. 24-25).