Il Pianeta dopo la pandemia: perché urge cambiare rotta

di Antonio Lovascio · Se con la pandemia abbiamo accettato di restare chiusi in casa, sapremo fare rinunce per il Pianeta? Abbiamo finalmente compreso che la natura è parte integrante del benessere umano ? Dopo la dolorosa convivenza col Covid, non si deve tornare al passato. E’ ora di osare. La nomina di John Kerry (già Segretario di Stato con Obama) come inviato presidenziale per il clima, sottolinea che l’Ambiente è davvero una priorità per il nuovo inquilino della Casa Bianca Joe Biden. L’America volta pagina, sconfessa Trump, conferma l’impegno del suo successore ad affrontare il problema come una questione urgente di sicurezza nazionale. “Non vediamo l’ora che gli Usa rientrino nell’accordo di Parigi”, ha commentato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. .

E’ il momento di cambiare rotta. Di puntare appunto ad un’ alleanza tra essere umano e ambiente, declinazione del concetto di “ecologia integrale”, conosciuto ormai ovunque grazie all’enciclica Laudato si. Alleanza che Papa Francesco ha rilanciato il 12 dicembre nel messaggio agli esperti riuniti per il “Virtual Climate Ambition Summit”, la videoconferenza internazionale organizzata sotto l’egida dell’Onu a cinque anni dalla firma dell’Accordo di Parigi (ratificato da 188 Stati più l’Unione Europea, con l’obiettivo di stare ben al di sotto della soglia di 2 gradi centigradi, rispetto ai livelli pre-industriali) e orientata al prossimo vertice, la COP26 di Glasgow 2021.

Papa Francesco propone una strategia per ridurre gradualmente a zero le emissioni. «L’attuale pandemia e il cambiamento climatico, che non hanno solo rilevanza ambientale ma anche etica, sociale, economica e politica – ha detto Bergoglio – incidono soprattutto nella vita dei più poveri e fragili e richiamano la nostra responsabilità di promuovere, con un impegno collettivo e solidale, una “cultura della cura” che metta al centro la dignità umana e il bene comune». La Santa Sede – come ha spiegato il card. Pietro Parolin –  si sta muovendo su due piani: da un lato la Città del Vaticano si impegna a ridurre a zero le emissioni nette prima del 2050, dall’altra parte vuole diffondere un’educazione all’ecologia integrale. Le misure politiche e tecniche devono essere combinate con un processo formativo che favorisca un modello culturale di sviluppo e sostenibilità centrato appunto sulla fraternità e l’alleanza tra l’essere umano e l’ambiente, per non rubare alle nuove generazioni la speranza in un futuro migliore. La strada è però ancora tutta in salita perché i Paesi del G20 stanno spendendo il 50% in più nei loro pacchetti di salvataggio su settori legati ai combustibili fossili che all’energia a basse emissioni di carbonio.

Molto, tuttavia, dipenderà dai passi che verranno compiuti entro il 2030. Se nel prossimo decennio l’umanità riuscisse a ridurre della metà le emissioni di anidride carbonica, ci sarebbero buone probabilità di contenere la temperatura terrestre entro 1,5 gradi. In caso contrario le possibilità di vincere le sfide poste dall’Accordo sarebbero molto scarse.

Da questo punto di vista, il Rapporto 2020 redatto dall’organizzazione internazionale Climate Transparency non è molto incoraggiante. Da un esame condotto sugli impegni assunti entro il 2030 dai Paesi che fanno parte del G20, nessuno di loro risulta soddisfacente. A tutti è stato attribuito un voto più o meno insufficiente. Eppure nel 2020 le emissioni totali di anidride carbonica si sono ridotte del 7,5%. Ma si tratta di una parentesi transitoria dovuta al lockdown imposto dal Covid, a cui si teme farà seguito una nuova crescita di emissioni. Nell’ambito dei pacchetti di stimolo post-pandemia stanziati dai Paesi del G20 nel corso del 2020, ben 439 miliardi di dollari sono stati destinati alle fonti energetiche, per scoprire però che il 54% di essi, 240 miliardi, serviranno a sostenere i combustibili fossili: petrolio, gas e carbone. Ecco perché il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres ha invitato la Comunità internazionale a dichiarare lo “stato di emergenza climatica”. Ne avrà il coraggio e la forza ? Non dimentichiamo però che l’Accordo di Parigi è un classico esempio di soft law, di tentativo, cioè, di ottenere dei risultati non tramite regole vincolanti e punitive, ma attraverso meccanismi di persuasione morale e politica. Sarebbe quindi una rivoluzione a 360 gradi. Certo necessaria, per evitare una catastrofe.