La chiesa in Libano: Una speranza per i cristiani in Medio Oriente

Patriarca di Antiochia dei Siri-Cattolici Ignace Joseph III Younan, il Cardinale Béchara Boutros Raï, S. E. R. Mons. Paul Sayab, Vicario Patriarcale per gli Affari Esteri, Rev.do Mario Alexis Portella

Patriarca di Antiochia dei Siri-Cattolici Ignace Joseph III Younan, il Cardinale Béchara Boutros Raï, S. E. R. Mons. Paul Sayab, Vicario Patriarcale per gli Affari Esteri, Rev.do Mario Alexis Portella

di Mario Alexis Portella Papa Benedetto XVI, nella sua Esortazione Apostolica Postsinodale Ecclesia in Medio Oriente (2012) disse: <<La Chiesa in Medio Oriente che, dall’alba della fede cristiana, va pellegrinando su questa terra benedetta, continua oggi con coraggio la sua testimonianza, frutto di una vita di comunione con Dio e con il prossimo>>. La settimana di Pasqua appena trscorsa, ho avuto la benedizione di avere quest’esperienza quando sono stato ospitato dal Patriarca di Antiochia dei Siri-Cattolici Ignace Joseph III Younan a Beirut, Libano — sono anche stato accolto dal Patriarca Maronita il Cardinale Béchara Boutros Raï. E’ da notare che la città di Antiochia — dove i seguaci di Gesù furono chiamati per prima volta “cristiani” — c. 50 d. C., vide le prime predicazioni cristiane dell’apostolo S. Paolo. Con la diffusione del Cristianesimo, iniziata da S. Barnaba, Antiochia divenne la sede di uno dei quattro patriarcati iniziali, insieme a Gerusalemme, Alessandria; S. Pietro stesso istituisce la sua sede apostolica lì, prima di Roma. A causa della jihad di turchi ottomani, la sede di Antiochia fu traslocata a Beirut nel 1910. E purtroppo, la persecuzione causata dal fondamentalismo religioso islamico — che ha avuto inizio negli ultimi decenni ma in modo particolare con la tragedia dell’ISIS — continua ad affliggere gravemente le comunità delle Chiese in Medio Oriente.

Questa difficile situazione fa sì che i cristiani del Medio Oriente soffrano molto a causa delle persecuzioni, comportando altri patimenti come la mancanza di pace, uguaglianza, libertà religiosa, rispetto dei diritti umani, buona convivenza, e stabilità economica e politica. <<Questi problemi>>, come disse il Padre Jules Boutros, prete siro-cattolico e Parroco della Cattedrale della SS. Annunciazione a Beirut, <<tormentano le nostre comunità e creano grande paura, ansia, stanchezza, umiliazione e preoccupazione tra i nostri cristiani che sono rimasti e che rischiano di perdere la speranza di continuare a vivere la loro vita e missione>>.

Come indicato sopra, i cristiani libanesi hanno subito tragedie dopo tragedie nel secolo scorso nella loro guerra civile. Essa è stato un brutale conflitto di faglia, inteso come terreno di scontro di opposte culture, orientamenti religiosi, etnie, rivendicazioni politiche e/o ideologiche. Le sue origini risalgono alla caduta dell’Impero Ottomano, che più nel male che nel bene, aveva mantenuto sotto il suo imperio una certa stabilità in tutta la regione per circa quattro secoli, e l’avvento della Francia come nuova superpotenza regionale. A causa degli accordi segreti di Sykes-Picot del 1916 tra i governi di Londra e Parigi — sostenuti dalle Società delle Nazioni — in contrasto con le promesse britanniche fatte agli alleati arabi, la Francia aveva ottenuto sia il Libano che la Siria come sue zone di influenza. Per mantenere il proprio predominio, i transalpini si allearono con la classe dirigente locale di fede cristiano-maronita, che affiancò in ruoli importanti di governo locale. Nel 1943, a causa della caduta della Francia in mano tedesca e all’occupazione britannica della regione, il leader cristiano-maronita Bishara al-Khuri — che divenne il primo presidente — negoziò con tutte le forze politiche e religiose libanesi in vista di una pacifica via verso una stabile indipendenza. Dal suo impegno vide la luce il cosiddetto “Patto Nazionale”, che resse tra alti e bassi fino allo scoppio definitivo della guerra civile nel 1975.

Santuario della Madonna di Libano

Santuario della Madonna di Libano

Il nocciolo di questo accordo era molto semplice: dividere equamente le posizioni di potere tra le varie componenti nazionali. In pratica secondo il suo disegno, accettato in forma di gentlemen’s agreement e quindi non messo nero su bianco in una Costituzione, ci sarebbe stato sempre un Presidente della Repubblica cristiano-maronita, un Primo Ministro sunnita, un Presidente dell’Assemblea Nazionale sciita e un Vice-Presidente greco-ortodosso. Ogni incarico di governo sarebbe stato ripartito secondo uno schema di delicati equilibri di pesi e contrappesi, in modo da non avvantaggiare in modo eccessivo un’etnia o religione rispetto alle altre.

L’incontro tra l’islam e il cristianesimo in Medio Oriente ha spesso assunto la forma della controversia dottrinale. Tali differenze dottrinali sono servite come pretesto, in nome dell’islam, pratiche di intolleranza, di discriminazione, di emarginazione e persino di persecuzione. Ma come mi ha spiegato Sua Beatitudine il Patriarca Ignace Joseph III Younan, i libanesi hanno imparato come co-esistere gli uni con gli altri. Il dilemma, come disse Benedetto XVI: <<La tolleranza religiosa esiste in diversi paesi, ma essa non impegna molto perché rimane limitata nel suo raggio di azione. È necessario passare dalla tolleranza alla libertà religiosa>>. Il dilemma è che per i musulmani, non può esistere una separazione tra religione e Stato. E questo, secondo il mio parere, è un tema che i politici e uomini di Chiesa nel occidente non capiscono, o non vogliono capire.

È importante notare che l’islam, pur incorporando elementi religiosi, ha sempre avuto un fondamento socio-politico mai superato. E coloro che desiderano godere dei diritti umani, secondo il Preambolo della Dichiarazione del Cairo dei Diritti Umani in Islam (1990), “…siccome Allah ha creato la Comunità ideale e ha dato all’umanità una civiltà universale ed equilibrata…per assicurare i diritti umani…[devono] conformarsi alla sharia”. La sharia è basata sulla diseguaglianza tra uomo e donna e tra musulmano e non-musulmano, per cui molti capi di Stato islamici e la maggioranza degli imam continuano ad imporre una politica che sopprime la libertà religiosa, e allo stesso tempo, imprigiona attivisti che chiedono riforme democratiche.

La sfida di oggi in Libano è che i cristiani sono molto di meno dopo la guerra civile. Dal 1932 non sono più stati eseguiti censimenti ufficiali a causa della grande “sensibilità” dei libanesi nei confronti dei rapporti numerici fra le varie confessioni religiose. Mentre un tempo i cristiani costituivano la maggioranza, attualmente, secondo le stime del governo statunitense, i musulmani, dopo la migrazione dei palestinesi, dal 1948 in poi, sono all’incirca il 60% della popolazione libanese. E’ vitale, come esige Sua Beatitudine che i cristiani rimangano in Libano, sennò, il cristianesimo sarà in tutto smarrito. Ma non c’è da scoraggiarsi. Ci sono buoni rapporti tra i cristiani, nonostante le loro diversità, e ci sono anche progetti in corso per incoraggiare i giovani cristiani a rimanere nella loro terra. Ad esempio, Sua Beatitudine ha iniziato il Progetto di edilizia Abitativa di S. Giuseppe: costruzione di palazzi con appartamenti (144 in totale) per le famiglie cristiane di redditi bassi; i sacerdoti non sono numerosi, ma fiduciosi nella divina Provvidenza, impiegandosi quotidianamente, nonostante le loro sfide e stanchezze, alla chiesa di Cristo per il bene comune della loro società e per la salvezza delle anime.