Il salario familiare: un concetto antico ma costantemente attuale

di Leonardo Salutati · Nel videomessaggio del 16 giugno scorso in occasione della 109° conferenza internazionale del lavoro, Papa Francesco, riprendendo la denuncia dell’enciclica di Pio XI Quadragesimo anno, pubblicata nel 1931 all’indomani della grande crisi, contesta per l’ennesima volta le disuguaglianze generate dal sistema economico (QA 55) e suggerisce, come via per superare la sproporzione nella ripartizione del reddito tra lavoratori e imprenditori, lo strumento del “salario familiare” (cf. QA 76-82), proposta caratteristica della Dottrina sociale della Chiesa (DSC) che riconosce alla famiglia un ruolo fondamentale nella strutturazione della realtà sociale, spesso messo in ombra per le urgenze della morale sessuale.

La realtà economica, infatti, condiziona l’esistenza della vita familiare e il modo in cui la famiglia può assumere il proprio ruolo sociale. Per questo il nucleo centrale della DSC riguardante la famiglia, sottolinea che essa deve poggiare su un forte impegno da parte dei coniugi ed essere sostenuta dai poteri pubblici, perché miseria o condizioni di vita troppo onerose, le impediscono di svolgere il suo ruolo e ne minano l’integrità. Perciò la DSC chiede che si favoriscano adeguate condizioni di vita per tutte le famiglie e per quelle povere in particolare, sulla base di un giusto salario e dell’accesso alla proprietà privata.

La questione del giusto salario è un argomento che attraversa tutta la DSC, richiamando all’urgente necessità che ogni lavoratore debba percepire un livello salariale che gli permetta di vivere e di mantenere la propria famiglia (cf.: RN 17; QA 76-82; DR 52; Pio XII, 1941; MM 71; PT 20; GS 67; LE 19; CA 8; CV 63). Ma il realismo economico della Chiesa insiste anche sull’importanza della proprietà privata per la famiglia, come garanzia contro gli imprevisti specialmente quando non esistano sistemi di sicurezza sociale (cf. RN 35; QA 68; DR 52); come garanzia della dignità e della libertà dell’uomo, della stabilità familiare e della pace sociale; a condizione che essa sia accessibile al maggior numero possibile di soggetti (cf. MM 111-115). In particolare Gaudium et spes, pur ricordando che «Ogni proprietà privata ha per sua natura anche un carattere sociale, che si fonda sulla comune destinazione dei beni» (GS 71), insiste sul legame tra proprietà privata e libertà quando ricorda che: «La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona indispensabile di autonomia personale e familiare e bisogna considerarli come un prolungamento della libertà umana. Infine, stimolando l’esercizio della responsabilità, essi costituiscono una delle condizioni delle libertà civili» (ivi).

La DSC ha sempre insistito che il lavoro si svolgesse a condizioni tali da salvaguardare la vita familiare con le sue dinamiche, con un’evoluzione di prospettiva e di linguaggio che rivelano il mutamento della mentalità e dei costumi. Se in un primo tempo tale preoccupazione riguardava infatti il problema della durezza del lavoro infantile e femminile nei processi di industrializzazione (cf. RN 33; QA 72), in seguito si afferma l’urgenza che le donne non siano obbligate a scegliere tra lavoro e famiglia (cf. LE 19). Un altro tema dominante riguarda la conciliazione tra vita professionale e vita privata. La DSC ha sempre rivendicato un tempo di riposo: anzitutto per ricostituire le forze del lavoratore e per santificare il giorno del Signore (RN 33); ma anche per rafforzare l’«unità domestica, che esige un frequente contatto e una serena convivenza vissuta tra i membri della famiglia» (MM 249); infine, con l’affermarsi della dimensione del tempo libero, per poter «curare la vita familiare, culturale, sociale e religiosa» (GS 67).

I primi documenti della DSC davano per scontata la funzione più ovvia della famiglia (la trasmissione delle competenze fondamentali della vita) e la sua collocazione al centro di un tessuto sociale. Ma con il diffondersi dell’individualismo e con la contestazione del modello di famiglia tradizionale, a partire dagli anni ’60 del secolo scorso i documenti dedicano maggiore spazio a ciò che la famiglia apporta alla società (cf. GS 32; 52; PP 36; Sinodo La giustizia nel mondo 28; 57; LE 10; CA 39; 49; CV 44).

La DSC valorizza tutte le “competenze nascoste” della famiglia, quali per esempio i benefici di una educazione che permette di formare adulti responsabili, capaci di stringere legami, di dare il meglio di sé nella vita personale e professionale, nonché quelli derivanti dalla creazione di reti tramite le quali la solidarietà prende forma. Il ruolo sociale della famiglia, prezioso e indispensabile, va dunque sostenuto dai pubblici poteri, ma anche protetto da questi ultimi. Per questo la Chiesa ha sempre insistito sulla necessità di una vera politica familiare (cf. CV 44), pur vietando allo Stato di intervenire in campi che dipendono dalla sola responsabilità dei componenti di una famiglia (RN 11; Mit brennender Sorge 39; DH 5; GS 87).

Il realismo di cui la DSC dà prova su questi aspetti ci richiama dunque a cogliere l’importanza e la forza di quella promessa mediante la quale gli sposi si donano reciprocamente un avvenire ed è una lezione di grande attualità, specialmente di fronte all’approccio alla famiglia, oggi prevalente, fondamentalmente emotivo e alla fragilità economica che mette a rischio la capacità delle famiglie di svolgere il proprio indispensabile ruolo sociale. Benedetto XVI lucidamente ricordava che: «quando l’incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell’esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio» (CV 25).

In una società segnata dall’effimero e da tante situazioni di ingiustizia, l’annuncio di speranza cristiano sul sociale dovrebbe essere oggetto di profonda attenzione da parte di tutti.