Misericordia e correzione: un rapporto inscindibile

di Andrea Drigani · Papa Francesco, nella solennità di Pentecoste, ha emanato la Costituzione Apostolica «Pascite gregem Dei», con la quale ha promulgato il nuovo testo del Libro VI del Codice di Diritto Canonico concernente le sanzioni nella Chiesa.

Il Papa ha esordito affermando che, sin dall’antichità cristiana, la Chiesa si è data delle regole di condotta che nel corso dei secoli hanno composto un coeso corpo di norme vincolanti, che rendono unito il Popolo di Dio e della cui osservanza sono responsabili i Vescovi. Queste norme, ivi comprese quelle penali, si sono fondate e si fondono sempre sulla legge suprema della Chiesa che è la salvezza delle anime (Cfr. il mio articolo su questa Rivista, marzo 2019, Le norme penali canoniche e la «salus animarum»).

Il Papa ha altresì osservato che le norme devono tenere conto dei cambiamenti sociali e delle nuove esigenze del Popolo di Dio, da qui il dovere di riformarle e adattarle alle circostanze.

Proprio per queste considerazioni – precisa il Papa – è apparso evidente la necessità di sottoporre a revisione la disciplina penale promulgata da San Giovanni Paolo II, il 25 gennaio 1983, nel Codice di Diritto Canonico e che occorreva modificare in modo da permettere ai Pastori di utilizzarla come più agile strumento correttivo e salvifico.

In passato – scrive ancora il Papa – ha causato molti danni la mancata percezione dell’intimo rapporto esistente nella Chiesa tra l’esercizio della carità e il ricorso, ove le circostanze e la giustizia lo richiedano, alla disciplina sanzionatoria. Tale modo di pensare rischia di portare a vivere con comportamenti contrari alla disciplina dei costumi, al cui rimedio non sono sufficienti le sole esortazioni o i suggerimenti. Questa situazione porta con sé il pericolo che con il trascorrere del tempo, siffatti comportamenti si consolidono al punto tale da renderne più difficile la correzione e creando in molti casi scandalo e confusione tra i fedeli.

La carità – precisa il Romano Pontefice – richiede che i Pastori ricorrano al sistema penale tutte le volte che occorra, tenendo presenti i tre fini che lo rendono necessario nella comunità ecclesiale, e cioè il ripristino delle esigenze della giustizia, l’emendazione del reo e la riparazione degli scandali.

Nel rispetto della continuità con la tradizione canonica, il nuovo testo introduce delle aggiunte al diritto vigente e sanziona alcune nuove figure delittuose.

Si può notare che i delitti concernenti gli abusi sui minori nel Codice precedente andavano sotto il capitolo «Delitti contro obblighi speciali dei chierici», oggi, invece, vengono elencati sotto il capitolo «Delitti contro la vita, la dignità e la libertà dell’uomo». E’ stato introdotto anche il delitto di abuso sui minori commesso non solo da chierici, ma anche da membri di istituti di vita consacrata e da altri fedeli laici.

In ossequio al principio della trasparenza e della corretta gestione dell’amministrazione dei beni ecclesiastici saranno puniti gli abusi di autorità, la corruzione (sia il corrotto che il corruttore), le appropriazioni indebite, la mala gestio del patrimonio ecclesiastico.

E’ stato poi ulteriormente specificato il diritto alla difesa ed una più precisa determinazione delle pene per offrire agli Ordinari e ai Giudici criteri oggettivi nella valutazione della sanzione da applicare al caso concreto.

L’arcivescovo Filippo Iannone, Presidente del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, in margine alla presentazione della Costituzione Apostolica «Pascite gregem Dei», ha osservato che la salvezza delle anime richiede che chi ha commesso dei delitti, espii anche la colpa; quindi punire chi ha commesso delle azioni criminali diventa un atto di misericordia nei suoi confronti. La misericordia – ha concluso – richiede che chi ha sbagliato venga corretto.