L’Europa, l’Italia e un progetto per il mondo del «dopo»

bandiere-italia-e-unione-europea_800x423-728x409di Antonio Lovascio· L’Europa si costruisce con le sue crisi, diceva Jean Monnet. E’ così. Forse se ne stanno rendendo finalmente conto, dopo la strage del Coronavirus , se non tutti i 27 Stati che vi hanno aderito, almeno i Paesi fondatori. Stanno cadendo alcuni tabù e l’Italia – che fin qui ha dimostrato una incredibile serietà e compattezza – può tirare un mezzo sospiro di sollievo, dopo che il Consiglio europeo, la Commissione esecutiva Ue e la Bce hanno deciso di aiutarci ad affrontare – con la speranza di poterne uscire al più presto, pena il venir meno della coesione sociale – un’Apocalisse sanitaria ed economica che per la verità non ha risparmiato nessuno. Dalla Cina all’America, dalla Spagna alla Francia per non parlare della più solida Germania, e in egual misura la Gran Bretagna.

Mentre è difficile prevedere gli sviluppi della pandemia in termini di ulteriori contagi e vittime, il nostro Paese – di fronte ad un futuro incerto e duro – cerca faticosamente e gradualmente di ripartire, non senza le solite divisioni politiche, portandosi appresso numeri che fanno spavento: PIL in caduta dell’8 per cento, deficit in corsa verso il 10,4%, debito in volo al 155,9%. Il che significa che su ogni cittadino pesa adesso un debito di 43 mila euro, neonati compresi. Urge però spalmare liquidità. Ma è indispensabile anche la solidarietà concreta dell’Europa. Per far riaprire le fabbriche ed erogare ammortizzatori sociali ai cassintegrati, prevedendo un corposo sostegno alle imprese aiutandone la capitalizzazione e contribuendo ad assorbirne le perdite e contribuendo ad assorbirne le perdite con strumenti specifici tarati sulle loro diverse dimensioni. Serve per riaprire i negozi e rilanciare quando si potrà il turismo. Calcolando che nel frattempo andranno persi non meno di 500 mila posti di lavoro. Non basterà infatti l’impegno-monstre di una manovra finanziaria mai varata : 155 miliardi di euro netti in termini di cassa da finanziare e 55 miliardi in termini di deficit. L’Italia confida dunque nella comprensione “sostanziosa” dell’Europa. E con l’appoggio di Spagna e Francia che si trovano nelle stesse identiche drammatiche situazioni, conta su prestiti senza condizioni-capestro dell’ordine di almeno 400 miliardi di euro garantiti da diversi strumenti: una sorta di rete di sicurezza!

Per avere questi fondi con rapidità, prima dell’estate, il premier Conte dovrà fare ulteriori sforzi per convincere i propri alleati europei ed americani che il mondo – come il virus dimostra – non si governa con i muri ma con la cooperazione. Lo ha ricordato il presidente del Parlamento Europeo David Sassoli in una recente intervista all’Osservatore Romano, citando i continui richiami di Papa Francesco. Europa significa attenzione concreta alle persone, spesso abbandonate nella solitudine. Ha davanti a sé una sfida epocale. E questo infatti è il momento in cui l’Unione degli Stati, delle Nazioni, dei governi, deve superare le rivalità del passato e rafforzare le sue istituzioni per essere accanto a tutti i cittadini, quelli del Nord e quelli del Sud. Mettendo da parte gli egoismi ed i nazionalismi. Per fare cosa? Per rivedere il proprio modello di sviluppo, per riuscire a proteggere meglio le persone e per custodire ed esprimere anche quei valori di solidarietà spesso raccomandati dal Santo Padre insieme ad altri non meno importanti per l’uomo: il valore della vita e dei diritti inalienabili come libertà, pluralismo, democrazia, giustizia ed uguaglianza, ben evocati agli italiani dalla presidente della Corte costituzionale Marta Cartabia sul “Corriere della Sera”.unnamed (1)

Rafforzare l’Europa vuol dire anche cambiarla, adeguando gli strumenti con i quali siamo entrati nella tempesta. Aprire – come dice Sassoli – un “cantiere della ricostruzione” per dare una risposta comune all’emergenza. Abbiamo bisogno di forme di decisione globale, di ricerca scientifica coordinata, di coordinamento di politiche finanziarie.

In questo processo di mutamente anche l’Italia dovrà fare la sua parte: lo deve se non altro alle vittime (ed al dolore delle loro famiglie) della pandemia, di cui ancora non si vede la fine. Questa è un’occasione da non perdere per progettare il mondo del “dopo”: per ricreare un sistema sanitario meglio articolato sul territorio, snellire la burocrazia di uno Stato che non riesce a far arrivare in tempi rapidi soldi alle imprese (che rischiano di chiudere per sempre i battenti), ai cassintegrati, agli artigiani e commercianti ridotti sull’orlo della disperazione. Uno Stato che,ad esempio, non ha ancora imparato a mettere al centro delle proprie politiche il ruolo della Famiglia e della Scuola. A porre le lancette dell’orologio in avanti e non all’indietro. Solo sveltendo il passo, potremo pretendere il rispetto che si deve ai fondatori del Vecchio Continente.