La sana democrazia nel mondo islamico: illusione o realtà?

La partenza del Califfo Abdülmecid II

La partenza del Califfo Abdülmecid II

di Mario Alexis Portella Molti politici occidentali e membri della Chiesa Cattolica (latina) sostengono, dopo l’appello lanciato nel 2015 dall’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Federica Mogherini, al fine di integrare “l’Islam politico” in Europa, la compatibilità tra la democrazia e l’Islam. Costoro ritengono possibile la coesistenza fra la religione islamica e la società occidentale, vale a dire son convinti che gli Stati islamici possano accettare e sviluppare una sana democrazia, salvaguardando e promuovendo i diritti fondati sull’equità. Questa tesi si sta manifestando in modo sempre più insistente in virtù del dialogo interreligioso odierno tra la Sede Apostolica e i vari rappresentanti del corpo politico-islamico. Il loro punto di riferimento è, in parte, il modello turco, che è rappresentato da una forma di stato repubblicana, democratica e laica, con una popolazione a maggioranza musulmana. L’ironia della storia è che tale modello fu realizzato da Kemal Mustafa Atatürk, il quale, convinto che il progresso della Turchia dipendesse dalla separazione tra la legge civile e quella religiosa. Egli abolì il califfato—già unito all’ufficio del sultano dal 1577—di Abdülmecid II nel 1924, con la completa estromissione “dell’Islam politico” e col rifiuto di qualsiasi dialogo con le loro autorità religiose.

Questa vicenda ci fa capire che l’Islam storicamente nasce come una comunità politica e religiosa in cui non esistevano né istituzioni, né clero, né cariche direttive, giacché il profeta Maometto era l’unico depositario ed interprete di una legge divina e trascendente che governava tutte le attività umane. La comunità islamica si è poi evoluta costituendo simultaneamente una struttura politico-giuridica ed un insieme istituzionalizzato di mandati religiosi, che si è tradotto in una nazione teocratica. Come capo di uno stato monocratico, il Profeta emanò norme che rendevano il corpo politico inseparabile dalla religione imposta. Coloro che desideravano essere membri della comunità islamica furono obbligati ad accettare la dottrina di Maometto con una professione di fede per rimanere in vita; insomma, dovevano necessariamente diventare e restare musulmani. Qualsiasi separazione dall’unica religione riconosciuta sarebbe stata presa come un tradimento della comunità politica che su tale religione era edificata. Ma come già accennato, per Atatürk l’Islam rappresentava la causa principale dellostacolo principale allintroduzione di innovazioni politico-sociali, civilizzatrici e tecniche. Con l’abolizione del califfato, che contestualmente abrogò tutti e due l’Impero Ottomano e l’eredità universale politica-religiosa del profeta Maometto, la Turchia, iniziò l’era della laicità, cioè di rispetto dei fondamentali diritti e doveri legati alla dignità della persona.

Alcuni studiosi paragonano la democrazia nel mondo islamico alla sana laicità di uno Stato democratico e, come accennato, guardano alla Turchia. Il concetto della sana laicità, come disse papa Benedetto XVI, richiede che lo Stato «da una parte, riconosca a Dio e alla sua legge morale… [però] dall’altra, affermi e rispetti la ‘legittima autonomia delle realtà terrene’, intendendo con tale espressione, come ribadisce il Concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, che ‘le cose create e le stesse società hanno leggi e valori propri, che l’uomo gradualmente deve scoprire, usare e ordinare’». Questa nozione è inimmaginabile per un musulmano poiché la sua religione, come dettata dalla sharia—fondata sulla disuguaglianza tra musulmano e non-musulmano, tra uomo e donna, tra uomo libero e schiavo—deve necessariamente regolare ogni aspetto della propria vita secondo le norme stabilite quattrocento anni fa. Tale osservanza giuridica fu unanimemente riconosciuta da tutti i paesi islamici (incluse la Turchia e la Palestina) nell’articolo 24 della Dichiarazione del Cairo sui diritti umani nell’Islam (1990): “Tutti i diritti e le libertà enunciate nelle presente Dichiarazione sono soggette alla Shari’ah Islamica”. E questo perché “Allah non associa nessuno al suo dominio” (Sura 18, 26).

In quei paesi islamici dove la sharia non è più norma civile, ad esempio il Regno Hascemita di Giordania, essa costituisce pur sempre un punto di riferimento per quanto concerne il matrimonio, l’eredità, la mancanza di libertà religiosa, ecc. Anche quegli Stati che hanno adottato una struttura “democratica” di governo, come l’Iran, l’Egitto e il Regno di Marocco, di fatto applicano una legislazione draconiana, come la pena di morte per l’apostasia o la soppressione del diritto di parola e di stampa, non dissimile da quella degli Emirati Arabi Uniti e dell’Arabia Saudita dove la sharia è legge prevalente.

Tornando allo Stato laico di Atatürk, si deve ricordare che, prima dell’abolizione del califfato, l’Impero Ottomano nel 19° sec. presentava un sua propria caratteristica : la capacità delle élites e di alcuni sultani illuminati di capire che la modernizzazione e l’occidentalizzazione costituivano l’unico modo per ribaltare il ruolo subordinato dell’Impero rispetto all’Europa. A queste intuizioni, seguirono una serie di riforme che iniziarono a laicizzare e occidentalizzare il paese, e dettero il nome il nome alla cosiddetta epoca delle Tanzimat (riforme). Furono adottati alcuni codici europei, importando così uno stile di vita occidentale. Ciò nonostante, la sharia rimase in vigore, come pure il potere del califfo, perché, eliminandoli, ne sarebbe derivata perdita dell’identità islamica e la loro autorità politica, senza di che, per esempio, i turchi non avrebbero potuto dichiarare lecitamente le fatwa, gli ordini a perseguitare i cristiani armeni e assiri, che sfociarono nel noto genocidio.

La democrazia, come noi la concepiamo in occidente, è basata sul modello pensato ed attuato dai Padri Fondatori degli Stati Uniti d’America, che garantisce la terzietà della legge rispetto alle varie confessioni religiose che godono, però, della libertà d’esercizio, come sono garantiti la libertà di parola e di stampa, il diritto di riunirsi pacificamente e il diritto di appellarsi al governo per correggere i torti. Tale sistema, inoltre, proibisce di “emanare qualunque legge che riconosca come unica ufficiale qualsiasi religione”. Mi permetto qui di chiarire che la separazione tra chiesa e Stato non significa separazione tra Stato e Dio: infatti, è scritto nella Dichiarazione di Indipendenza che “le Leggi della Natura e del Dio della Natura” attribuiscono all’uomo “inalienabili diritti” dotati dal Creatore — un principio quasi del tutto dimenticato nell’Europa occidentale. Comunque, per un cristiano, uno Stato laico e democratico è compatibile con la sua dottrina, ma non così per un musulmano. Tale concetto non soltanto è estraneo alla cultura islamica ma è anche considerato, come si è già detto, un tradimento della comunità stabilita dal Profeta dell’Islam.

Atatürk uscendo dal parlamento dopo il 7° anniversario della sua istituzione (1930). A sua sinistra,  İsmet İnönü, 2° Presidente della Turchia.

Atatürk uscendo dal parlamento dopo il 7° anniversario della sua istituzione (1930). A sua sinistra, İsmet İnönü, 2° Presidente della Turchia.

Nonostante le innovazioni politiche di Atatürk, che aveva ridotto l’Islam ad una pura questione personale e privata, la popolazione, per la maggioranza contadina e musulmana, rimase legata alle tradizioni e non riuscì ad interiorizzare in tutto i moderni modelli europei. L’eredità di questi sconvolgimenti politici e sociali si riflette, a tutt’oggi, specialmente a causa della politica pro-islamica del Presidente Recep Tayyip Erdogan, nel disorientamento ideologico e culturale del popolo, consapevole di non essere partecipe né della civiltà occidentale né di quella medio-orientale, manifestandosi assolutamente incapace di incarnare serenamente un’identità alternativa alle prime due.

L’idea che l’Islam si possa integrare nello Stato democratico, oppure che la laicità, che è stata il pilastro del governo turco basato sull’equità, possa coesistere in uno Stato islamico, è pura illusione. Ecco perché sin dalla sua ascesa al potere, Erdogan, utilizzando la stessa struttura democratica di Atatürk, ha messo in atto una serie di riforme col proposito di trasformare la Repubblica della Turchia in uno Stato islamico. Così infatti si è espresso: «Non si può essere laico e musulmano! Sarà o musulmano o laico! Quando entrambe le identità cercano di convivere, creano il magnetismo inverso [cioè, si respingono l’un l’altro]…. E perché mai? Perché Allah, il creatore del musulmano, ha il potere assoluto di governo! La sovranità appartiene al popolo solo quando va a votare [ogni cinque anni]! Ma sia materialmente ed in sostanza, la sovranità appartiene incondizionatamente e sempre ad Allah»!»! Malgrado tali premure islamici, la rivoluzione kemalista continua a incoraggiare molti turchi, anche cittadini in paesi islamici che, pur subendo persecuzioni, lottano per lo Stato laico e la dignità della persona.