«Non buttiamo la parrocchia dalla finestra», ma…

9788831526999di Stefano Liccioli  stato da poco annunciato che Papa Francesco riprenderà le visite alle parrocchie romane.
Se da una parte questa pratica pastorale gli deriva dal suo essere Vescovo di Roma, dall’altra credo che questa sua attenzione sia la conferma della fiducia che il Santo Padre continua a riservare nell’istituzione parrocchiale. Fiducia che, per esempio, nel 2016 durante un incontro con i vescovi a margine della Gmg di Cracovia lo portò ad affermare:
«La parrocchia non si tocca, non è una struttura che dobbiamo buttare dalla finestra».

In tale ottica, questo numero de’ “Il Mantello della Giustizia”, mi dà l’occasione per condividere alcune semplici riflessioni personali su quello che considero essere il futuro della parrocchia come istituzione. Innanzitutto credo che sia opportuna una precisazione, forse scontata, ma doverosa: se prima si cresceva “all’ombra del campanile”, ora i tempi sono cambiati e la parrocchia non è più l’unico punto di riferimento delle persone. Anzi, «siamo in mezzo a pervasivi processi di scristianizzazione, che generano indifferenza e agnosticismo» (Il volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia, Nota pastorale della CEI, 2004) e la parrocchia rischia di non essere neanche più un punto di riferimento per molte persone, aggiungo io. In questo contesto mutato come devono, i parrocchiani, pensarsi ed eventualmente ripensarsi? Alcune indicazioni significative sono riportate nell’esortazione apostolica di Papa Francesco, Evangelii Gaudium:«La parrocchia non è una struttura caduca; proprio perché ha una grande plasticità, può assumere forme molto diverse che richiedono la docilità e la creatività missionaria del pastore e della comunità. Sebbene certamente non sia l’unica istituzione evangelizzatrice, se è capace di riformarsi e adattarsi costantemente, continuerà ad essere “la Chiesa stessa che vive in mezzo alle case dei suoi figli e delle sue figlie”. Questo suppone che realmente stia in contatto con le famiglie e con la vita del popolo e non diventi una struttura prolissa separata dalla gente o un gruppo di eletti che guardano a se stessi. La parrocchia è presenza ecclesiale nel territorio, ambito dell’ascolto della Parola, della crescita della vita cristiana, del dialogo, dell’annuncio, della carità generosa, dell’adorazione e della celebrazione. Attraverso tutte le sue attività, la parrocchia incoraggia e forma i suoi membri perché siano agenti dell’evangelizzazione. È comunità di comunità, santuario dove gli assetati vanno a bere per continuare a camminare, e centro di costante invio missionario. Però dobbiamo riconoscere che l’appello alla revisione e al rinnovamento delle parrocchie non ha ancora dato sufficienti frutti perché siano ancora più vicine alla gente, e siano ambiti di comunione viva e di partecipazione, e si orientino completamente verso la missione».(EG 28). Il Santo Padre non considera superata l’istituzione parrocchiale perché il suo essere in mezzo alla gente le conferisce un ruolo particolare in ordine all’evangelizzazione delle persone. Occorre però, a mio avviso, che le comunità evitino il rischio dell’autoreferenzialità, accontentandosi di trovarsi bene al proprio interno, coltivando relazioni “calde”, rassicuranti. In quest’ottica è necessario che le comunità non si limitino a pensarsi di coincidere, in maniera riduttiva, con coloro che sono più impegnati nella vita pastorale o che vengono alla Messa tutte le domeniche, devono mantenere invece un cuore inquieto che cerca i lontani. Allo stesso tempo le parrocchie non possono percepirsi o essere percepite come delle “stazioni di servizio” in cui ci si rifornisce di quelle che serve (sacramenti, sacramentali, catechismo…) per poi riprendere il proprio cammino.

Papa Francesco, nel passo dell’Evangelii Gaudium citato, parla di revisione e rinnovamento delle parrocchie. Ritengo che prima ancora delle iniziative da proporre e dei progetti da fare, ci siano degli atteggiamenti basilari da assumere o da rafforzare che possono portare le comunità ad una conversione, ad una consapevolezza del proprio fondamentale ruolo evangelizzatore.

Uno degli atteggiamenti da favorire è sicuramente quello dell’accoglienza. Significa far spazio a chi si sente estraneo alla comunità parrocchiale e quindi alla Chiesa stessa, ma cerca un aggancio per poter condividere il proprio disagio, le proprie domande. A tutti costoro occorre offrire uno spazio ospitale che non è in un luogo, ma in una rete di relazioni. È un’ospitalità dal sapore evangelico che testimonia come sia la Chiesa che l’accesso alla fede siano a disposizione di tutti. Si tratta dell’atteggiamento opposto di coloro che erigono muri e muriccioli per escludere, dividere i buoni dai cattivi, quelli che la pensano come loro da quelli con cui invece non sono d’accordo.

Accogliere però non basta. Serve anche offrire. Offrire una domanda di senso dove essa tace o dove viene cercata, proporre slanci verticali a chi è ripiegato su una vita piatta, presentare l’incontro con la Verità che è il bene dell’uomo. Chi incontra la parrocchia dovrebbe poter dire di aver incontrato Gesù: nella Parola che viene proclamata, nell’Eucarestia che viene celebrata, nell’amore per il prossimo che viene testimoniato. E’ importante essere comunità credenti e credibili, capaci cioé di tenere insieme coerentemente la fede annunciata, quella pregata e quella testimoniata e di farlo tra le mura della chiesa così come tra quelle dei nostri condomini. Al fine di non offrire al mondo controtestimonianze penose, occorre impegnarsi ad essere parrocchiani che non confondono il servizio con il potere, che non escludono o considerano scarti coloro che sembrano non rispettare più certi parametri dell’efficienza, propri più di un’azienda che di una comunità di fede. E’ necessario sforzarsi di ragionare sempre nella logica evangelica dell’autenticità e del perdono piuttosto che in quella del giudizio e del rancore.

Chiediamoci se anche delle nostre comunità parrocchiali possono dire quello che i pagani, secondo Tertulliano, dicevano stupiti dei cristiani dei primi secoli:«Vedete come si amano!» (Apolog. 39). Come ci dice il Papa, non buttiamo la parrocchia dalla finestra, ma abbiamo il coraggio di un rinnovamento che è in primo luogo un rinnovamento dei cuori più che dei progetti pastorali, una conversione che scaturisce da un radicarsi sempre più nel Vangelo.