San Francesco si racconta. Un testo di F. Marchesi (ofm)

jnIFr4oGOgGb_s4di Dario Chiapetti · Il testo di Francesco Marchesi, San Francesco si racconta. Il cammino di Francesco attraverso i suoi scritti (Edizioni Biblioteca Francescana, Milano 2019, 224 pp.), presenta la vicenda autobiografica del Santo d’Assisi, così come essa è evinta dai suoi scritti, oltre che da quelli dei suoi frati e dei suoi biografi.

Marchesi mostra come la “conversione di Francesco”, quel periodo che va dal 1205 al 1208, caratterizzato da un primo radicale spossessamento di sé, conobbe un momento significativo, oltre che nell’incontro coi lebbrosi e col crocifisso di san Damiano, anche nell’accoglienza dei primi compagni, fatto che Francesco non aveva né previsto né voluto e che lesse come iniziativa divina. Ciò portò il Poverello a interrogare il Signore circa la forma di vita che avrebbe dovuto seguire con questi suoi compagni. Sulla base dell’invito, insito in tre riferimenti scritturistici, riguardanti la povertà e la missione (Mt 19,21; 16,24; Lc 9,3), come viene desunto dal Testamento e dalla Regola non bollata, egli intese fissare la forma di vita: una fraternità minoritica – non un Ordine – che aveva come unico scopo seguire il Vangelo nella povertà, come condivisione dello status sociale degli ultimi. I suoi membri lavoravano, non per la ricompensa ma per dare l’esempio e tenere lontano l’ozio, ammettendo, se necessario, il ricorso all’elemosina, dedicandosi, solo in secondo luogo, ad una qualche attività di predicazione. Ciò che Francesco visse nei primi anni di vita della fraternità costituì per lui un vero e proprio sogno, al quale però dovette presto rinunciare, non senza sofferenza. In dieci anni la fraternitas arrivò a contare 5000 membri, di cui molti chierici, letterati, nobili, ricchi, che chiedevano radicali cambiamenti nella strutturazione della fraternità, in direzione di una sua clericalizzazione (stile di vita meno provvisorio, abbandono del lavoro manuale e dell’elemosina, assunzione di incarichi pastorali), favorita anche dalla curia romana, con la quale Francesco dovette fare i conti. Marchesi comprende tale preoccupazione a partire dalle disposizioni/esortazioni di Francesco nella Regola non bollata, rivolte ai provinciali, a esercitare il loro ministero come forma di servizio e cura del fratello, senza attaccarsi alla potere.

In questo clima di espansione della fraternità, Francesco, per il desiderio del martirio, di annunciare il Vangelo e, forse, anche di staccarsi dalla situazione difficile che viveva, decise di partire per l’Oriente, presso l’esercito crociato che stava assediando Damietta, in Egitto. Ancora una volta, i desideri di Francesco non furono soddisfatti: non fu martirizzato, non convertì il Sultano – sebbene l’incontro fu proficuo per entrambi – e contrasse una malattia agli occhi, forse un tracoma, che non lo lasciò più (a cui si accompagnarono disturbi al fegato, alla milza e allo stomaco): ma era così che, come lascia intuire la Legenda Maior, «quel fuoco divino, che gli bruciava nel cuore, diventava intanto più ardente e perfetto». Questa esperienza di malattia è riflessa anche nelle parole della Regola non bollata, con cui invita i frati infermi a «rendere grazie di tutto il creatore», giacché Dio, avendoli preordinati alla vita eterna, «li educa con i richiami stimolanti dei flagelli delle infermità».unnamed (3)

Al rientro dall’Oriente, Francesco trovò l’Ordine ancora più diviso, situazione che lo portò a scegliere, con ancor più radicalità, la via della minorità. Tale decisione fu attuata in modo però ambiguo: se promise obbedienza incondizionata al ministro provinciale, rimase il punto di riferimento incondizionato per la fraternità, senza trattenersi dall’esercitare il suo carisma, intervenendo su questioni anche di grande interesse per essa. In Francesco, dal punto di vista psicologico, si intrecciano il tratto da leader, che sin da giovane lo contraddistingueva, e l’opposta tendenza a prendere le distanze dai problemi, mentre, dal punto di vista dello spirito, si coglie l’intendimento di vivere tutto ciò come processo di conversione, caratterizzato dall’atteggiamento di minorità e dal distacco dalle cose. È proprio a tale esperienza che, per Marchesi, fanno eco le affermazioni contenute nella Lettera a un ministro sul ritenere come grazia chi è di ostacolo, in quanto è in ciò la vera obbedienza.

Le dimissioni di Francesco provocarono un suo relativo isolamento dai frati, sia cercato che subìto. Marchesi osserva come, per la Compilatio Assisiensis, gli anni dal 1220 (ritorno dall’Oriente) al 1224 (Stimmate) furono caratterizzati da una «gravissima tentazione di spirito» che lo vide combattere tra il suo essere minore e il ricorrere alla sua autorità per far valere le proprie idee, anche con veemenza. I problemi ad intra portarono Francesco ad intensificare la sua azione ad extra, non verso i frati ma verso i laici, sia come scrittore (Lettera ai fedeli, Lettera ai reggitori dei popoli) che come predicatore, non più solo sul piano esortativo/morale, ma su quello, più propriamente, teologico/dogmatico. È a partire dalla sua esperienza sofferta di vita che Francesco colse come il fare penitenza, consistente, come aveva compreso all’inizio, in un moto di condivisione con i poveri, era connesso all’inabitazione trinitaria (Regola non bollata).

Questo periodo di prova condusse Francesco all’esperienza delle Stimmate. Francesco intuì che la risoluzione alla sua sofferenza risiedeva unicamente nel sentire il dolore e l’amore della passione del Signore, come attestano i Fioretti, quando raccontano la richiesta, da parte di Francesco, di queste due grazie. Da questa esperienza nacque quella visione profonda del mistero di Dio (Lodi di Dio altissimo) e quell’atteggiamento sia di amore e di cura verso il fratello (Lettera di Spoleto) sia di custodia dell’opera del Signore nella propria vita (le Ammonizioni, con l’invito ai frati a non manifestare tutte le proprie cose agli altri e non essere veloci nel parlare).

Tuttavia, dopo le Stimmate, negli ultimi due anni della sua vita terrena, Francesco conobbe un ulteriore periodo di prova. Continuò a stare in disparte; significativi furono i cinquanta giorni presso san Damiano. Era questo il luogo dove tutto era iniziato, in cui poteva tornare all’origine della sua esperienza spirituale e dove poteva porre la sua vita, e così esaminarla, di fronte a Chiara, autorità indiscussa per lui. È quest’ultima fase che è rispecchiata nella riflessione cristologica della kenōsis dell’incarnazione e della passione, la più sviluppata in tutti i suoi scritti (Lettera ai fedeli, seconda redazione). È quest’ultima fase che è rispecchiata nella Lettera a tutto l’Ordine, testo che Francesco, compiuto un salto qualitativo nell’amore verso i suoi frati, scrisse, riassumendo gli elementi più significativi del suo sentire, mettendosi a nudo, come attesta la sua confessione pubblica di non aver seguito la Regola nella sua vita. Da ultimo, dopo l’assicurazione della salvezza eterna, ricevuta dal Signore, Francesco compose il Cantico delle Creature: nel dolore della sofferenza e nella luce della salvezza egli comprese come l’«Altissimo, onnipotente, bon Signore», fosse un Dio da lodare, con tutte le sue creature.

Questi sono solo alcuni elementi di ciò che il testo di Marchesi mostra e che rappresentano la lezione del Poverello: se non v’è patimento non v’è apprendimento, se non v’è apprendimento dal patimento, l’uomo è un nulla. Francesco ha imparato da ciò che ha patito e i suoi scritti trasudano questo imparare dal patire. Che è sangue. Nel quale, anche oggi, anche noi, possiamo bagnare le nostre coscienze.