La Chiesa fa politica quando parla di certi argomenti?

9788831503419_0_221_0_75di Leonardo Salutati Una domanda che spesso viene posta è se la Chiesa non si allontani dalla sua missione allorché essa si esprime su situazioni o fatti che rientrano nell’ambito politico. Al Riguardo il Concilio Vaticano II ricorda che sempre e dovunque, e con vera libertà, è diritto della Chiesa «predicare la fede e insegnare la propria dottrina sociale, (…) dare il proprio giudizio morale, anche su cose che riguardano l’ordine politico, quando ciò sia richiesto dai diritti fondamentali della persona e dalla salvezza delle anime. E farà questo utilizzando tutti e soli quei mezzi che sono conformi al Vangelo e in armonia col bene di tutti» (GS 76). Sono la «salvezza delle anime» e la difesa dei «diritti fondamentali della persona» che, facendo parte della sua missione, autorizzano la Chiesa ad esprimere il proprio «giudizio morale», anche qualora tale giudizio possa avere conseguenze in campo politico. Per esempio, quando Papa Francesco denuncia le misure politiche che hanno come conseguenza la morte in mare di centinaia di profughi, esprime un giudizio morale anche se ha ricadute politiche.

La dottrina cattolica tradizionale sulla politica, la sua necessità e i suoi fondamenti, è esposta ai nn. 73-76 di Gaudium et spes, dove si ricorda che: quando «gli uomini, le famiglie e i diversi gruppi che formano la comunità civile sono consapevoli di non essere in grado, da soli, di costruire una vita capace di rispondere pienamente alle esigenze della natura umana», emerge l’esigenza di una «comunità politica» più ampia e strutturata, «allo scopo di raggiungere sempre meglio il bene comune» (GS 74), il quale sta al centro della Dottrina sociale della Chiesa ed è il fine dell’attività politica. Nella sua esposizione Gaudium et spes arricchisce la dottrina tradizionale quando tratta della democrazia e del pluralismo, due temi che sono al cuore della visione politica contemporanea.

Per un certo tempo, la Chiesa aveva soltanto tollerato l’ideale democratico nelle sue caratteristiche di: «suffragio universale» (GS 75), dovere di garantire e proteggere i «diritti della persona» e quelli delle «minoranze» (GS 73), sistema composto dai «partiti politici» con il compito di «promuovere ciò che (…) è richiesto dal bene comune» senza mai «anteporre il proprio interesse a tale bene» (GS 75). Sarà Pio XII nel 1944 che riconoscerà la democrazia come «un postulato naturale imposto dalla stessa ragione», cui farà eco in modo definitivo GS 75 dove, pur non menzionando la parola democrazia per non mettere in difficoltà gli episcopati di nazioni cattoliche all’epoca non ancora democratiche, si affermerà senza ambiguità che: «È pienamente conforme alla natura umana che si trovino strutture giuridico-politiche che sempre meglio offrano a tutti i cittadini, senza alcuna discriminazione, la possibilità effettiva di partecipare liberamente e attivamente sia alla elaborazione dei fondamenti giuridici della comunità politica, sia al governo degli affari pubblici, sia alla determinazione del campo d’azione e dei limiti dei differenti organismi, sia alla elezione dei governanti», condannando all’opposto «tutte quelle forme di regime politico, (…) che impediscono la libertà civile o religiosa, moltiplicano le vittime delle passioni e dei crimini politici e distorcono l’esercizio dell’autorità dal bene comune per farlo servire all’interesse di una fazione o degli stessi governanti» (GS 73).camera-parlamento

Al pieno riconoscimento della democrazia come sistema politico non poteva non seguire da parte del Concilio la legittimazione del pluralismo politico quando, nel parlare della responsabilità dei laici cristiani che «agiscono quali cittadini del mondo, sia individualmente sia associati», variamente impegnati nella società e, inevitabilmente, con opinioni diverse, ricorda: «per lo più sarà la stessa visione cristiana della realtà che li orienterà, in certe circostanze, a una determinata soluzione. Tuttavia, altri fedeli altrettanto sinceramente potranno esprimere un giudizio diverso sulla medesima questione, come succede abbastanza spesso e legittimamente» (GS 43). Considerare legittima la diversità di giudizi, significa accettare il pluralismo politico rifiutando ogni tentativo di presentare un’opinione particolare come espressiva della fede cristiana. Pertanto: «se le soluzioni proposte da un lato o dall’altro (…) vengono facilmente da molti collegate con il messaggio evangelico, in tali casi ricordino essi che nessuno ha il diritto di rivendicare esclusivamente in favore della propria opinione l’autorità della Chiesa» (ibid.).

In tempi in cui si assiste alla crisi della politica ed in particolare a quella della democrazia, le parole del Concilio rivelano tutto il loro valore quando riconoscono all’attività politica le caratteristiche di una nobile missione che si concretizza: nella ricerca del bene comune, nel rispetto della dignità dell’uomo, nella gestione ordinata degli affari pubblici e dell’economia, nel ricambio pacifico e ordinato dei governanti, nella difesa delle libertà, nella riduzione delle ingiustizie. Come pure manifesta tutta la sua attualità il richiamo di Paolo VI quando, nella Octogesima adveniens (1971), invita a «prendere sul serio la politica nei suoi diversi livelli», ricordando che: «La politica è una maniera esigente – ma non è la sola – di vivere l’impegno cristiano al servizio degli altri. Senza certamente risolvere ogni problema, essa si sforza di dare soluzioni ai rapporti fra gli uomini. (…) Pur riconoscendo l’autonomia della realtà politica, i cristiani, sollecitati a entrare in questo campo di azione, si sforzeranno di raggiungere una coerenza tra le loro opzioni e l’evangelo e di dare, pur in mezzo a un legittimo pluralismo, una testimonianza personale e collettiva della serietà della loro fede mediante un servizio efficiente e disinteressato agli uomini» (OA 46).