Una riflessione in un tempo di indecisioni

61kkPm2U5aLdi Stefano Liccioli • Ha una pagina Facebook seguita da oltre quarantamila persone, è docente di filosofia alla Pontificia Università Lateranense, preside dell’Istituto Superiore Scienze Religiose dell’Aquila, ma soprattutto ha all’attivo diverse pubblicazioni, tradotte anche in lingua straniera. Sto parlando di don Luigi Maria Epicoco che la casa editrice che ha tradotto in francese il suo libro più famoso “Sale, non miele. Per una Fede che brucia” lo ha definito “il fenomeno sacerdotale in Italia”. Non entro nel merito dei successi editoriali e pastorali di don Epicoco, anche se condivido quello che ha detto di lui Massimo Recalcati e cioé che ha “il dono della parola”, una parola che porta la Fede nella concretezza della vita di ognuno.

In questa sede voglio invece prendere spunto da un breve libro di don Luigi intitolato “L’amore che decide. Due meditazioni in un tempo di indecisioni” (2019) per sviluppare alcune riflessioni sul tema delle decisioni, non le piccole scelte di vita quotidiana, ma quelle esistenziali. Il sinodo del 2018 si è concentrato sul tema del discernimento vocazionale, ma come mai, mi chiedo, certi percorsi di discernimento, anche lunghi, non portano i frutti sperati e si arrestano in dei vicoli ciechi? Certo, esiste il libero arbitrio. Ma come mai si sceglie di non scegliere? Sempre più spesso le persone rimangono a quello che Kierkegaard definiva il punto zero della vita data l’incapacità di scegliere tra le alternative possibili. Questa problematica è riscontrabile non soltanto negli itinerari che possono condurre alla vita consacrata, ma anche nei cammini di tante coppie che magari dopo molti anni di fidanzamento si lasciano o molto più spesso preferiscono la convivenza rispetto al matrimonio. D’altra parte che cos’è la convivenza se non il frutto di quella che papa Francesco chiama la cultura del provvisorio, «che può condurre a vivere “à la carte” e ad essere schiavi delle mode. Questa cultura induce il bisogno di avere sempre delle “porte laterali” aperte su altre possibilità». Invece il decidere, come ci ricorda l’etimologia della parola che richiama il termine latino de- e caedĕre «tagliare», comporta lasciare qualcosa per scommettere la propria vita su quello che si è scelto come quel mercante del Vangelo che vende tutti i suoi averi per comprare la perla di grande valore che ha trovato.

A mio avviso don Epicoco mette bene in luce il motivo per cui si preferisce rimanere paralizzati nell’indecisione:«Non prendiamo delle decisioni perché abbiamo paura del mistero, abbiamo paura di quello che la vita può riservarci, abbiamo paura di quello che si può trovare dall’altra parte del mare». Legata a questa dinamica c’è un’altra problematica, quella della fragilità di certe scelte, la mancanza di perseveranza in alcune decisioni prese. Spesso si ritorna sui propri passi, si rimangia la parola data, non si mantengono le promesse fatte nonostante fosse stato detto “per sempre”. La ragione è che non riusciamo ad accettare la differenza tra ciò che ci aspetteremmo (ideale) e ciò che invece è reale. Invece, amare una persona (o una comunità parrocchiale nel caso di un prete) «significa lasciare che quella persona sia reale e che deluda quello che mi ero disegnato nella testa. Uno è paziente quanto permette all’altro di essere se stesso». Non a caso una delle caratteristiche che San Paolo attribuisce all’amore è la pazienza.

La vita, in quanto reale, ha diritto di essere diversa da come la vorremmo o ce la sogniamo. Occorre accettare, con pazienza, questa diversità che c’è l’ideale e la realtà. La libertà è imparare a scegliere, invece che subire, anche le cose che non abbiamo preventivato, le cose che ci sono, le cose che esistono davanti a noi. Scegliere ciò che non si è scelto» (L. Epicoco).whatsapp_image_2019_03_06_at_105958j

La causa di tanti ripensamenti, di tante rotture di rapporti sta, secondo me, anche nel fatto che «viviamo in un momento storico molto particolare, in cui veniamo educati a concentrarci tantissimo su noi stessi. I miei problemi, i miei bisogni, i miei miei desideri sono i più importanti del mondo. Facciamo di noi stessi un assoluto. Finché non impareremo a decentrarci, non capiremo mai davvero né questa vita né ciò che ci può rendere davvero felici. La maturità della vita umana dovrebbe consistere nell’imparare in maniera sana a decentrarci. In questo egocentrismo è sempre insoddisfazione». (L. Epicoco). Le nostre esistenze sono condizionate dall’idea di sacrificio (ad es. è sacrificio lavorare, è sacrificio rimanere fedele a qualcuno o ad un impegno preso) e siccome nella società odierna c’è un primato delle emozioni, di ciò che sento, che considera vero e giusto solo ciò che ci fa sentire vivi, rifuggiamo quello che ci può far fatica e far soffrire.

Ma che cos’è che fa smettere al sacrificio di avere così tanta importanza nella narrazione delle nostre vite? Vivere per amore di qualcuno. Allora il sacrificio diventa al massimo la fatica dell’amore, ciò che “fa sacro” quello che viviamo, come ci ricorda l’etimologia della parola.