La chiamata di Matteo. Metafora di ogni vocazione

di Francesco Vermigli · Il 21 settembre la Chiesa celebra la festa liturgica di san Matteo apostolo. Pensi alla figura di Matteo, pensi alla sua chiamata che viene raccontata nei Vangeli sinottici (Mt 9,9; Mc 2,14; Lc 5,27-28) e subito – si direbbe, quasi inevitabilmente – ti torna alla mente il dipinto del Caravaggio; realizzato con buona probabilità entro il primo decennio del XVII secolo e ancor oggi esposto in una cappella laterale, la Cappella Contarelli, della chiesa di San Luigi dei Francesi a Roma. Non è nostra intenzione presentare un’analisi storico-artistica di questo dipinto: cosa che supererebbe ampiamente le competenze di chi scrive. Qui basti accennare come sia significativo quanto l’immaginario che trova origine nel testo biblico, nella nostra storia occidentale sia intessuto di riferimenti iconografici; quei riferimenti iconografici che rendono conto di come proprio questo sia il proprio della Scrittura: suscitare immagini, ispirare l’arte ma anche la letteratura, essere vita e carne di ogni giorno. La Vocazione di san Matteo di Michelangelo Merisi insegna innanzitutto questo.

Ma insegna anche altro e non meno importante. Insegna, almeno così mi pare, alcuni aspetti fondamentali della dinamica vocazionale: di ogni dinamica vocazionale. Lo sviluppo del racconto evangelico e qualche altra considerazione a latere ci saranno di aiuto.

Gesù passa. In tutti e tre i racconti evangelici dei Sinottici, Gesù passa. Quello che Gesù compie in questo episodio, corrisponde ad un aspetto fondamentale dell’identità di Dio: in Cristo infatti Dio passa nel mondo, Dio si muove sulla terra; perché è di Dio, della sua natura più profonda essere dinamico. Dinamico è infatti l’Amore. Dinamico è Dio nelle tre persone. Dinamiche sono le tre persone divine che si comunicano l’unica natura divina, che esse sono. Quando dunque Gesù si muove nel mondo, quando egli passa beneficando e risanando tutti (cf. At 10,38) rende visibile l’identità dinamica del Dio Amore. Gesù passa e cammina nella sua umanità, perché cerca l’uomo per salvarlo: i passi di Gesù sono come la restituzione corporea del movimento che nasce dalle profondità dell’infinito mistero d’Amore di Dio.

Gesù vede. Passa Gesù e vede Matteo-Levi. Matteo non si accorge di Gesù: è Gesù che si accorge di lui. Perché è dell’uomo non tanto vedere Dio, ma, prima ancora, è dell’uomo essere visto da Dio: essere guardato, essere scorto, essere scoperto. Come è dell’Amore: fare sempre la prima mossa, vedere prima di essere visti. Gesù vede Matteo, perché, si direbbe, ha gli occhi per vederlo. Perché Gesù, come si diceva sopra, cerca l’uomo, lo vuole trovare, perché lo vuole salvare.

Gesù chiama. Come noto, il motto sullo stemma di papa Francesco (miserando atque eligendo) fa riferimento a questo episodio evangelico, ma riletto attraverso l’interpretazione che di esso aveva dato Beda il Venerabile in una sua omelia: «Vidit ergo Iesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me» (Corpus Christianorum Series Latina, 122, pp. 149-151). Questa citazione dal grande autore britannico ci aiuta a capire come l’invito che Gesù fa a seguirlo, nasce da quello sguardo di misericordia e di compassione che è all’origine di tutto. Anzi, Beda ci ricorda che Matteo viene scelto e dunque viene chiamato, proprio perché Gesù lo ha guardato con sguardo di misericordia e di compassione.

Matteo risponde. La risposta di Matteo si direbbe immediata, almeno da come ci viene presentata dai Sinottici. Quel che conta è che i gesti che Matteo compie sono assolutamente decisivi, per comprendere ogni dinamica vocazionale: Matteo lascia tutto (secondo il solo Mc), si alza e segue Gesù (in tutti i Sinottici). La vocazione dunque si innesta su una dinamica di abbandono / sequela. Ogni accoglienza necessariamente passa attraverso qualche abbandono. Chi sceglie di accogliere la chiamata a qualcosa – tanto più se si tratta della chiamata a seguire Gesù – passa attraverso un abbandono, anche sofferente, di qualcosa che aveva in precedenza. Ed è la sofferenza dell’abbandono che rende vero e autentico questo passo così importante.

La chiamata è una salvezza. La chiamata di Matteo è seguita sempre dal racconto in cui Gesù è a casa sua e interloquisce con i farisei e i loro scribi, dichiarando una verità fondamentale: che egli è venuto a salvare e questo significa che sono salvati coloro che hanno bisogno di salvezza. Come solo chi è malato, ha bisogno del medico. Così facendo Gesù rivela che ogni vocazione, ogni chiamata è la concreta via di salvezza e di guarigione offerta a ciascuno da Dio.

All’inizio di questo articolo abbiamo confessato di non essere in grado di presentare il dipinto del Caravaggio. Ne siamo ovviamente ancora convinti. Ma notiamo quanto grande sia la fedeltà del pittore al messaggio che viene espresso dal racconto evangelico. Nel dipinto si vede Gesù che agisce per primo: passando, vedendo, chiamando. La luce viene da Lui, non dalla finestra aperta: è la luce che viene da quella prima mossa di grazia e di misericordia che ha la sua origine in Dio. Questa è la salvezza in cui consiste la vocazione: Matteo è sorpreso da Dio che per primo volge il suo sguardo e per primo lo chiama.