Come leggere un testo del Vangelo: due pesi e due misure

di Stefano Tarocchi · Nel Vangelo di Marco del racconto della moltiplicazione dei pani: «essendosi ormai fatto tardi, gli si avvicinarono i suoi discepoli dicendo: “Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congedali, in modo che, andando per le campagne e i villaggi dei dintorni, possano comprarsi da mangiare”. Ma egli rispose loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Gli dissero: “Dobbiamo andare a comprare duecento denari di pane e dare loro da mangiare?”.  Ma egli disse loro: “Quanti pani avete? Andate a vedere”. Si informarono e dissero: “Cinque, e due pesci”. E ordinò loro di farli sedere tutti, a gruppi, sull’erba verde.  E sedettero, a gruppi di cento e di cinquanta.  Prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, spezzò i pani e li dava ai suoi discepoli perché li distribuissero a loro; e divise i due pesci fra tutti.  Tutti mangiarono a sazietà, e dei pezzi di pane portarono via dodici ceste piene e quanto restava dei pesci.  Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini» (Mc 6,3 5-44). 

Ora, su questo testo, come su molti altri, incombe un pericolo, che non di rado si avverte, in interpretazioni di totale fantasia: il pericolo di attribuire al testo un valore maggiore o minore di quanto l’autore ha voluto trasmettere nella fedeltà all’ispirazione divina. 

Se la parola di Dio va letta nello stesso spirito con cui è stata composta dopo essere stata ispirata, come insegna il Concilio Vaticano II (Dei Verbum 12), questo comporta necessariamente il rispetto della parola. Non tanto e non solo perché parola di Dio ma anche per questo motivo. 

A chi scrive è capitato, di sentire infatti meditazioni (e/o omelie) in cui, senza rispettare il testo, e anzi gravandolo di un significato inesistente, qualcuno ha detto non: «voi stessi date da mangiare», bensì «date voi stessi da mangiare», quasi che questo cambiamento ingiustificato del testo gli diventi come superiore. L’autore di questi capolavori di fantasia giustifica – o fa giustificare – questa lettura come spirituale, propria di colui che senza motivo pensa di migliorare, senza alcuna necessità, l’interpretazione del Vangelo. 

In questa logica qualunque comunicazione verbale e non verbale diventa prigioniera di chi si appropria della parola di Dio, e di Dio che parla attraverso la parola, per mettere sé stesso al centro. 

Facciamo un altro esempio. Così leggiamo nei racconti dell’infanzia del vangelo di Luca, a proposito dell’annuncio ai pastori: «e subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14). 

Il testo della versione latina di san Girolamo dice: «in terra pax in hominibus bonae voluntatis». Il termine greco usato indica per sé la buona volontà divina, la sua benevolenza. Ecco perché diverse versioni rendono in questa maniera: «sulla terra pace agli uomini, che egli ama». 

L’indirizzo della lettera enciclica sulla pace di Giovanni XXIII, scritta nel 1963 (Pacem in terris), pochi mesi prima della morte, infatti, così diceva: «ai venerabili fratelli patriarchi, primati arcivescovi, vescovi, … che sono in pace e comunione con la sede apostolica, al clero e ai fedeli di tutto il mondo». Fin qui niente di diverso ma il papa santo si rivolge anche «a tutti gli uomini di buona volontà».  

E papa Giovanni aggiunge nella sua lettera che «a tutti gli uomini di buona volontà spetta un compito immenso: il compito di ricomporre i rapporti della convivenza nella verità, nella giustizia, nell’amore, nella libertà: i rapporti della convivenza tra i singoli esseri umani; fra i cittadini e le rispettive comunità politiche; fra le stesse comunità politiche; fra individui, famiglie, corpi intermedi e comunità politiche da una parte e dall’altra la comunità mondiale» (87). 

Ora, il testo evangelico dice che la buona volontà, la benevolenza, è di Dio. E tuttavia il papa santo, così amato al tempo, coglie un aspetto forse celato nel testo evangelico, ma che il testo quasi fa scaturire. A differenza dell’esempio raccontato prima, c’è qui un influsso del termine latino che può diventare lo spunto per costruire un quadro totalmente differente.  

In questo caso non c’è nessuna forzatura ma uno straordinario, quanto forse dimenticato, colpo d’ali di un mondo e di un tempo carico di attese, passate purtroppo solo negli archivi. 

Nel primo caso uno schiaffo al testo, nel secondo lo scaturire di una nuova feconda sorgente di significato.