Turismo è sempre ricchezza?

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di Giovanni Campanella · Nell’ottobre 2020, la casa editrice Eris ha pubblicato un piccolo libro intitolato Oltre il turismo – Esiste un turismo sostenibile?, all’interno della collana BookBlock, e scritto da Sarah Gainsforth.

Gainsforth è giornalista freelance e ricercatrice indipendente e si occupa di temi sociali relativi alla città e alle sue trasformazioni, con una particolare attenzione verso le politiche abitative e le disuguaglianze. Ha collaborato con Il Manifesto, L’Espresso, Internazionale e DinamoPress.

In questo libro, descrive lo sviluppo del turismo, da viaggio per pochi a turismo di massa, mostrando le contraddizioni di un settore che ha un enorme indotto ma che ha allo stesso tempo conseguenze spesso devastanti per i territori. Infatti, nel corso degli ultimi anni, numerosi luoghi, in ogni angolo del pianeta, hanno vissuto profonde trasformazioni legate al turismo: inquinamento e consumo di suolo con opere inutili e infrastrutture per turisti, espulsione di abitanti non abbienti e attività commerciali storiche, spopolamento e desertificazione dei centri storici. Che si tratti di città d’arte, paradisi naturali, borghi di collina o piccoli siti archeologici, il turismo di massa innesca un processo che modifica l’ecosistema urbano e naturale, consumando e spesso cancellando le caratteristiche alla base dell’attrattività delle destinazioni turistiche. Gainsforth cerca di delineare un turismo sostenibile per i territori e la popolazione locale, senza snaturare i luoghi di vacanza e partendo da una nuova prospettiva di ecologia popolare.

Effettivamente, questo scritto è interessante proprio perché si concentra su elementi che normalmente sono trascurati e che per molti sono pressoché inesistenti: i costi del turismo. In realtà, esistono eccome! Molto spesso, gran parte dei profitti derivanti dal turismo sono privatizzati e finiscono nelle mani di pochi mentre gran parte degli svantaggi legati al turismo sono “socializzati” ossia gravano sulla collettività autoctona.

Una città soffre troppo di turismo quando il numero di turisti supera quello dei residenti. Dubrovnik è in cima alla classifica mondiale dell’overtourism, con soli 1.500 residenti nel centro storico e oltre un milione di turisti l’anno (10 mila al giorno). Anche Venezia non se la passa gran che: tra il 1976 e il 2018, la popolazione è crollata del 47%. Oggi il suo centro storico ha solo 54 mila residenti e quasi nessun artigiano. Le case sono sempre più affittate a turisti e conseguentemente ci sono sempre meno case per gli affitti ordinari, i prezzi aumentano e i residenti spariscono.

Secondo alcuni studiosi, il turismo genera economie di scala, favorisce investimenti e innesca l’attivazione delle imprese locali. Secondo altri, è necessario considerare anche esternalità negative conseguenti alla congestione, all’uso intensivo delle risorse naturali e del patrimonio culturale, all’aumento del costo della vita per i residenti e all’incremento dei valori immobiliari nei centri urbani. Inoltre, essendo il turismo un settore a bassa produttività e bassi salari, sottrae risorse a comparti a più alta tecnologia e valore aggiunto e dunque deprime l’economia e il welfare: è l’effetto noto come “Beach Disease”. Analizzando tutti questi elementi, non è difficile che in alcuni casi gli effetti benefici del turismo diminuiscano o diventino addirittura negativi!

Secondo gli autori di un focus della Banca d’Italia, le province che hanno smesso di beneficiare del turismo dal 1997 includono Venezia, Firenze e Roma. Il turismo avrebbe effetti positivi nelle province con livelli molto bassi di valore aggiunto pro capite e ridotti tassi di occupazione ma, nelle località e nelle città già turistiche, il turismo non produce alcun beneficio economico ma costi.

È ovvio che la completa assenza di turismo non è uno scenario desiderabile; il malaugurato Covid ci ha purtroppo abituato a tale situazione, tanto inaspettata. Però ci vuole una regolamentazione, un giusto equilibrio. Grazie a una buona cornice di regole e a politiche pubbliche redistributive (la recente e bistrattata tassa di soggiorno è in realtà un buon passo verso questa direzione se il gettito è poi ben ridistribuito), è possibile far sì che il turismo benefici tutti e non solo alcuni settori economici e attori privati. Guardare alle mere entrate finanziarie senza considerare gli effetti sul contesto e sull’ambiente circostante conduce a uno scenario assai poco desiderabile.

«Adottare un approccio ecologista significa comprendere un problema particolare come parte di un tutto. Crisi sociale e crisi ambientale sono due facce della stessa medaglia; i problemi del mondo sono profondamente connessi tra loro. Non basta insomma considerare a una a una le parti del tutto, bisogna guardare all’ecosistema nella sua complessità. Il problema della povertà è anche quello della terra, dell’uguaglianza, della giustizia sociale ed economica, dell’ambiente. In questa prospettiva di ecologia integrale – proposta da Papa Francesco nella Laudato sì – non è possibile separare il problema del troppo turismo dal sistema economico che lo produce, non è possibile parlare di turismo sostenibile senza esigere una riconversione dell’economia, la cui insostenibilità si manifesta con tanti sintomi, tra cui quello dell’overtourism. Contro la distruzione dei nostri ambienti di vita, contro un turismo predatorio ed autodistruttivo, occorre allora non un “turismo sostenibile” all’interno di un’economia di crescita insostenibile, ma una nuova ecologia popolare» (p. 62)

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Giovanni Campanella

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